Il vento è un'aspra voce che ammonisce per noi stuolo che a volte trova pace e asilo sopra questi rami secchi. E la schiera ripiglia il triste volo, migra nel cuore dei monti, viola scavato nel viola inesauribile, miniera senza fondo dello spazio. Il volo è lento, penetra a fatica nell'azzurro che s'apre oltre l'azzurro, nel tempo ch'è di là dal tempo; alcuni mandano grida acute che precipitano e nessuna parete ripercuote. Che ci somiglia è il moto delle cime nell'ora - quasi non si può pensare né dire - quando su steli invisibili tutt'intorno una primavera strana fiorisce in nuvole rade che il vento pasce in un cielo o umido o bruciato e la sorte della giornata è varia, la grandine, la pioggia, la schiarita.
Che speri, che ti riprometti, amica, se torni per così cupo viaggio fin qua dove nel sole le burrasche hanno una voce altissima abbrunata, di gelsomino odorano e di frane?
Mi trovo qui a questa età che sai, né giovane né vecchio, attendo, guardo questa vicissitudine sospesa; non so più quel che volli o mi fu imposto, entri nei miei pensieri e n'esci illesa.
Tutto l'altro che deve essere è ancora, il fiume scorre, la campagna varia, grandina, spiove, qualche cane latra esce la luna, niente si riscuote, niente dal lungo sonno avventuroso.
Nulla di ciò che accade e non ha volto e nulla che precipiti puro, immune da traccia, percettibile solo alla pietà come te mi significa la morte. Il vento ricco oscilla corrugato sui vetri, finge estatiche presenze e un oriente bianco s'esala nei quadrivi di febbre lastricati. Dalla pioggia alle candide schiarite si levano allo sguardo variopinto blocchi d'aria in festevoli distanze. Apparire e sparire è una chimera. È questa l'ora tua, è l'ora di quei re sismici il cui trono è il movimento, insensibili se non al freddo di morte che lasciano nel sangue all'improvviso. Loro sede fulminea è qualche specchio assorto nella sera, ivi s'incontrano, ivi si riconoscono in un battito. Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi, ti persegua di là dai fortilizi, dalle guglie riflesse negli asfalti, nei luoghi ove l'amore non può giungere né la dimenticanza di se stessi.
Ma tu continua e perditi, mia vita, per le rosse città dei cani afosi convessi sopra i fiumi arsi dal vento. Le danzatrici scuotono l'oriente appassionato, effondono i metalli del sole le veementi baiadere. Un passero profondo si dispiuma sul golfo ov'io sognai la Georgia: dal mare (una viola trafelata nella memoria bianca di vestigia) un vento desolato s'appoggiava ai tuoi vetri con una piuma grigia e se volevi accoglierlo una bruna solitudine offesa la tua mano premeva nei suoi limbi odorosi d'inattuate rose di lontano.
Vita che non osai chiedere e fu, mite, incredula d'essere sgorgata dal sasso impenetrabile del tempo, sorpresa, poi sicura della terra, tu vita ininterrotta nelle fibre vibranti, tese al vento della notte...
Era, donde scendesse, un salto d'acque silenziose, frenetiche, affluenti da una febbrile trasparenza d'astri ove di giorno ero travolto in giorno, da me profondamente entro di me e l'angoscia d'esistere tra rocce perdevo e ritrovavo sempre intatta.
Tempo di consentire sei venuto, giorno in cui mi maturo, ripetevo, e mormora la crescita del grano, ronza il miele futuro. Senza pausa una ventilazione oscura errava tra gli alberi, sfiorava nubi e lande; correva, ove tendesse, vento astrale, deserto tra le prime fredde foglie, portava una germinazione oscura negli alberi, turbava pietre e stelle.
Con lo sgomento d'una porta che s'apra sotto un peso ignoto, entrava nel cuore una vertigine d'eventi, moveva il delirio e la pietà. Le immagini possibili di me, passi uditi nel sogno ed inseguiti, svanivano, con che tremenda forza ti fu dato di cogliere, dicevo, tra le vane la forma destinata! Quest'ora ti edifica e ti schianta. L'uno ancora implacato, l'altro urgeva - con insulto di linfa chiusa i giorni vorticosi nascevano da me, rapidi, colmi fino al segno, ansiosi, senza riparo n'ero trascinato. Fosti, quanto puoi chiedere, reale, la contesa col nulla era finita, spirava un tempo lucido e furente, senza fine perivi e rinascevi, ne sentivi la forza e la paura. Una disperazione antica usciva dagli alberi, passava sulle tempie. Vita, ne misuravi la pienezza,.
Parla il cipresso equinoziale, oscuro e montuoso esulta il capriolo, dentro le fonti rosse le criniere dai baci adagio lavan le cavalle. Giù da foreste vaporose immensi alle eccelse città battono i fiumi lungamente, si muovono in un sogno affettuose vele verso Olimpia. Correranno le intense vie d'Oriente ventilate fanciulle e dai mercati salmastri guarderanno ilari il mondo. Ma dove attingerò io la mia vita ora che il tremebondo amore è morto? Violavano le rose l'orizzonte, esitanti città stavano in cielo asperse di giardini tormentosi, la sua voce nell'aria era una roccia deserta e incolmabile di fiori.
La terra e a lei concorde il mare e sopra ovunque un mare più giocondo per la veloce fiamma dei passeri e la via della riposante luna e del sonno dei dolci corpi socchiusi alla vita e alla morte su un campo; e per quelle voci che scendono sfuggendo a misteriose porte e balzano sopra noi come uccelli folli di tornare sopra le isole originali cantando: qui si prepara un giaciglio di porpora e un canto che culla per chi non ha potuto dormire sì dura era la pietra, sì acuminato l'amore.
Da dove ci chiamano i rimorsi? Assenza, assenza non sa il cuore di chi né di che ima perdutissima sostanza. Sa solo che è incolmabile quel vuoto, quella lacuna non fosse il dilagare, talora, d'una fervida celestiale sovrabbondanza.
Il termine, la vetta di quella scoscesa serpentina ecco si approssimava, ormai era vicina, ne davano un chiaro avvertimento i magri rimasugli della tappa pellegrina su alla celestiale cima. Poco sopra alla vista che spazio si sarebbe aperto dal culmine raggiunto... immaginarlo già era beatitudine concessa più che al suo desiderio, al suo tormento. Sì l'immensità, la luce ma quiete vera ci sarebbe stata? Lì avrebbe la sua impresa avuto il luminoso assolvimento da se stessa nella trasparente spera o nasceva una nuova impossibile scalata... Questo temeva, questo desiderava.