L'aria greve di febbraio, in gola incapsulata, s'insinua nei miei bronchi e venefica si offre ad un sangue quasi esausto.
Sottile è definita quella polvere fatale; è lieve invece la cenere quaresimale posata sul mio capo; indistrutta s'alzerà, giunta la mia ora, a lambire le corde dell'Omega.
Amico del giorno che sempre ritorna fratello dell'oggi che eterno sarà, dicevan mai tempo sarebbe bastato a sondare quel mondo inaudito che nella tua testa ospitavi; per altro invece è durato, per compiere giorno per giorno quell'io generoso e solare che mai lascerà i nostri cuori afflitti d'impresa mancata: non esser riusciti a tra noi trattenerti.
Come dopo lavacro battesimale eri pronto all'estremo momento ancorato all'abbraccio materno accordato a tua sposa angosciata; se timore l'evento poteva recarti non c'era occasione di averne coscienza.
Un fremito quieto m'assale repente se oso pensare a tutti quei segni che solcano gli ultimi giorni di questa tua vita terrena: la casa agognata ed ora rifatta, i pacchi di carta man mano scomparsi, la fede serbata e più ritemprata, la prima influenza accanto alla moglie, i volti dei figli al computer fissati; e così concluso il finito librato ti sei in quell'infinito che scorgere amavi su in alto.
Tu immagino che le parole, dolci e ritmate là sull'altare, nel cuore a Valeria hai ispirato, icona superna di tragica donna, conforme a Madonna del pianto ritta nel banco di fronte alla bara quasi a volerti cullare.
Incline a finire non era l'estate prima che un segno ti desse e così ha regalato al tuo funerale l'unico tempo che avresti gradito: sorpresa all'uscita di chiesa i raggi a inondar di tepore i cuori silenti di tutti le membra ahimè inerti di te che fermo quasi mai stavi.
Disegno a me sconosciuto dal male ti ha preservato, al fine che tu diventassi un seme fecondo di bene e più mi rendo convinto che un compimento si svela; se altro fare non posso, almeno a me si conceda donar di saggezza le rughe ai cari ed amati tuoi figli, nel vivo ricordo che spesso parevamo stupiti fratelli.
A me oggi non piace saperti ove il sol ormai più non rallegra, esitante avvicino il tuo marmo, ma salda mi afferra certezza che anche per te veramente, alla pari di chi ha creduto, la morte non è una vita lasciata ma l'attimo atteso in cui Uno pronuncia "Vieni con me".
Ancora non so cosa mi spinge a porre l'orecchio trepidante negli angoli riposti della casa.
È forse la mancanza inaccettata del suono dolce di una tua risata del tono fermo di una tua parola.
Solo il silenzio si offre inusitato la calma vincitrice tutto ammanta, ma il regno invisitato dello studio a me rammenta gesti quotidiani.
Oggi la sera si apre ospitale a volti nella grazia già cambiati; sgranando lenta la corona familiare infine sento nelle voci oranti un'eco che non si addice loro: così la tua presenza è manifesta, certezza di un legame che continua.
Mentre ignara quel germe di vita trepidante crescevi nel grembo, una prova ahimè inaudita il destino ti ha assegnato: straziata da disperazione trovare all'interno di una nascita la morte.
La gente avrà pensato che forse non si dà maggior contraddizione; ma io sono sicuro che il tuo dolore offerto comunque ha generato in te e in chi ti è vicino.
Incancellabile l'immagine di quegli istanti atipici trafigge il petto quotidiana, ma impercettibile alla mente, come labbri di ferita che lenta va rimarginando, prepara il cuore ad affrontare un dolce compito inatteso: più amare d'essere insegnante, scoprendo in volti pur diversi i lineamenti del tuo bimbo.
È greve sai un momento in ogni mia giornata: il caldo pizzicare sulla pelle di acqua venuta a ristorare.
Dimenticare più non posso che semplice quel gesto al destino ha accompagnato il tuo risveglio ignaro.
Osservo incuriosito come mai sul vetro le gocce a scivolare; mentre veloce scende la più alta ingrossando coglie quelle in basso, deviando dal suo corso naturale pur di non lasciarle lì a oziare.
Anche gli istanti di una vita rischiano d'essere dispersi se Qualcuno infin dall'alto non si abbassa verso noi a fonderli per sempre in unità.