Qualche volta, piano piano, quando la notte si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio, e non c'è più posto per le parole e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno come una perla intorno al singolo grano di sabbia, una lettera alla volta pronunciamo un nome amato per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.
Padre, io a te io inchiodato a te su questo scoglio divino che conosci la tua alba e allacci la tua potenza al fulmine da questo culmine di spasimo io vinto mando a te vincitore di padri la prora disorientata delle mie parole. Concedi a coloro che erano ciechi e a dismisura adesso vedono, rotto il sigillo della fiamma, l'ustione della carezza, il fragore del pugno, ora che sanno il tossico del palmo e delle nocche ed è notte, profonda notte a occidente di ogni immaginare ora che le iridi conoscono le costellazioni del dolore e del piacere; concedi loro di sopportare per ogni ciglio sospeso alle tenebre al tramonto di ogni palpebra sfinita la pronuncia dell'alba e del crepuscolo e il rombo immenso, che sale dall'uomo.
D'aprile, da piccolo gli alberi mettevano mitrie alzavano le teste in lunghe lunghe liturgie e tempio era il silenzio luminoso delle nuvole; oggi un mezzo aprile di tanti anni fa per tutto questo silenzio nessuno nasconde la testa nelle mani seduto, metto le tempie nella chiarìa di un cielo che li vorrebbe amati amati tutti, ognuno da qualcuno; ciascuno invece scuote la sua cenere e vedo ombre che passano vivendo in festa come fossero vissute orfano di tutti i moventi la primavera è guardarne il riflesso sulla peluria degli avambracci al sole.
È raro sentire cantare in strada molto più raro sentire fischiare o fischiettare se qualcuno lo fa l'aria sembra fargli spazio ti sembra che un refolo muova la flora dei tuoi pensieri ti metta dove prima non eri; ma come passa chi fischia la noia stende le vertebre al sole e tu rientri dov'eri dietro il douglas dei serramenti dentro il livore degli appartamenti al tango delle dita sul tavolo ti chiedi da quali trombe scosse scrollate le mura per quali brecce potremo vedere – fresca – come un sogno appena sbucciato la terra che calpesteremo, allegri.
Escono le mattine della domenica dopo che tanto è piovuto e la festa splende nel sole dissepolta; alzano la gaia concitazione delle partenze al mare al giro di ogni nuova mandata e allo scatto del portone corrisponde l'ombra nel fruscìo di una tendina; chi rimane è un viso che si sporge sulla rivalsa di chi parte stanno uniti così, nei giorni più luminosi, lo scorto e chi scorge come labbra mai bagnate da un bacio.