Ancora i valzer del cielo non avevano sposato il gelsomino e la neve, né i venti riflettuto la possibile musica dei tuoi capelli, né decretato il re che la violetta fosse sepolta in un libro.
No.
Era l'età nella quale viaggiava la rondine senza le nostre iniziali nel becco. Quando convolvoli e campanule morivano senza balconi da scalare né stelle.
L'età nella quale sull'omero di un uccello non c'era fiore che posasse il capo.
Allora, dietro al tuo ventaglio, la nostra prima luna.
Venne quello che amavo, quello che invocavo. Non quello che spazza cieli senza difese, astri senza capanne, lune senza patria, nevi. Nevi di quelle cadute da una mano, un nome, un sogno, una fronte. Non quello che alla sua chioma legò la morte. Quello che io amavo. Senza graffiare i venti, senza foglia ferire né smuovere cristalli. Quello che alla sua chioma legò il silenzio. Senza farmi del male, per scavarmi un argine di dolce luce nel petto e rendermi l'anima navigabile.