Parole povere posso donarti, che ti dicono l'amore, ma non la vita, e come petali di rosa le poserei sui tuoi palmi, e delicate toccherebbero la tua pelle. Parole povere ti posso dire, che escono da labbra amare, parole leggere come un sibilo di vento, labbra che non sanno più gridare, parole nude, forse fredde, tanto povere, che ti dicono l'amore, e non la vita, ma tu provaci lo stesso, prova ad accarezzarle come fossero davvero petali di rosa, vellutati, stretti nelle tue mani.
Scivolano i secondi come sabbia dalle dita, mi dici – amore, non mi lasciare – e mi tendi le tue mani
Calde, ma i miei pensieri sono ormai lontani
Cuore randagio, io ti comando e tu non ubbidisci mai, vagabondo sei, senza padrone sei
Scivolano i secondi, e gli amori si scontrano in certe clessidre solitarie chiamate cuori, dove non c'è mano sapiente che possa far tornare il tempo a scorrere da capo – quando la fine giunge.
Lascerò i tuoi occhi abituarsi alla luce di queste mattine brulicanti di brina, i tuoi orecchi udiranno le voci più dolci levarsi in un canto che sa di magia, lascerò le tue mani sentire il calore di un corpo concesso all'amore. Lascerò le tue labbra schiudersi ancora in un bacio che sa di amarena, dolce quanto il tuo odore, e i tuoi respiri vivranno nel vento – li lascerò espandersi come aliti immortali che portano con sé il seme eterno della vita.
Lascia che sia questo vento che soffia che ci agita i capelli che ci trascina adagio dentro vortici di fuoco. Lascia che sia questa voce che parla questa frase sconnessa d'emozioni trattenute nelle mani tue, calde e sudate. Lascia che sia questa mano che scorre con dita tremanti tra palpiti agitati e rimorsi di coscienza. Lascia che siano queste labbra socchiuse in un bacio infuocato che ti dona l'ardore, e poi ne rubi un altro - l'ultimo istante da portare con te prima d'imboccare la strada maestra. Lascia che sia una parola sommessa affievolita dal tuo volto pallido e stanco che indugia sovente di fronte a quest'anima che corre, giocando - dentro inaccessibili sentieri. Lascia che sia quest'attimo rubato l'unico scopo delle giornate tue.
Sorella mia, forse m'ami di un amore che non so, forse cerchi nelle sagome un riflesso – un volto che somigli un poco a te. Fratello mio, tieni stretto dentro al cuore il tuo segreto dei millenni, senti spento quel respiro delle labbra, odi suoni che ricolmano di lacrime i tuoi occhi fiduciosi. Sorella cara, tieni adesso questa mano che sussulta di paura quando dici una parola che trasuda dal tremore. Donne e uomini nel mondo che frugano nei cassetti dei diletti, lance amare dell'orgoglio da tirare verso cuori per ferire una passione dal debole germoglio. Ecco cosa siamo, sorelle d'uomini e di donne che s'incrociano per bivi e si ridicono parole pronunciate troppe volte e si rilanciano vendette consumate con superbia, ma non vale mai la pena di ferire il tuo fratello – quando quella che ti chiama, lì sull'angolo, è una sagoma che ti somiglia.
Come cori mi donavi tra lampioni e piazze ornate nel Natale dell'Amore, mille luci colorate e fili d'oro sopra i rami, fiabe smorte del dicembre, roghi spenti dentro al cuore. Tra le strade t'accendevi nelle sere affaccendate di strozzini innamorati che temevano prigioni. E notti di ragioni, mercatini d'innocenza dietro squallide intenzioni. Città cara, di promesse m'hai tessuta come fossi all'uncinetto, mano esperta come sarta cuci e scuci senza pena. Nel tuo cuore di cemento io mi perdo tra i sentieri e in questi vicoli piccini ove giace, indisturbato, il lieto volto della vita.