Io sento l'aria ora di un'altra sfera e mi scolorano nel buio i volti benignamente a me prima rivolti. E alberi amati e strade come a sera oscurano, che appena li ravviso: e ombra tu chiara - voce al mio tormento - in più profonde fiamme ora sei spenta per solcarmi d'un brivido improvviso dopo la guerra cieca in cui deliro. In circoli mi sciolgo in lume, in suono e senza brama al fervido respiro in lode pura grato m'abbandono. Un violento soffio ora m'assale nell'ebbrezza del rito ove uno stuolo di donne implora prosternato al suolo. E il vapore di nebbie lento esala a una contrada fulgida di sole, che cinge solo alpestri ultime gole. Candida e molle come latte trema la terra... su dirupi enormi io varco: di là rapito della nube estrema, nuoto in un mar di cristallina luce - una favilla io ormai del fuoco sacro, io sono un rombo della sacra voce.
Talora a sera tarda - era la luna - c'incamminammo allegri abbrividenti, quasi, rigati dagli umidi fiori, varcassimo la selva delle favole. Tu mi guidavi alle incantate valli di nudo lume e pallidi sentori; m'indicavi le grotte ove matura il triste amore in gelo di tormenti.
Se le mie labbra premono le tue io vivo nel tuo intimo respiro e poi dal corpo tuo che mi circonda, a cui pure m'accendo, sciolgo il nodo e da te mi ritiro a capo chino: è che indovino in te mia propria carne - in paurose lontananze oscure con te fiorii d'un cespite regale.
Che potrei più se tanto ti concedo? Ch'io mi modelli creta alle tue mani, guidi il pensiero al polso del tuo cuore? Che il tuo midollo in me su te mi stampi e il tuo sguardo m'ispiri col tuo passo? Tu sazi i sogni miei del tuo colore, tu moduli la mia voce, s'io prego, tu respiri nel mio canto di stelle.