Scritta da: kuttyale
in Poesie (Poesie d'Autore)
Wade black
Mi hai lasciato un buon sapore
la tua pelle forse
ilmodo in cui ti muovevi
il semplice restare sospesi.
dal libro "Prossima fermata Nostalgiaplatz" di Lorefice Stefano
Mi hai lasciato un buon sapore
la tua pelle forse
ilmodo in cui ti muovevi
il semplice restare sospesi.
Adesso la stanza ha tutte queste fatiche
per me, tutti questi buchi
e me ne rendo conto
che l'esistere non è semplice essere
è stare nel puro atto
è il resto delle stoviglie, di là
ammassate, che sembrano gli ultimi giorni
come un istante di teatro
nel pieno.
Mi accorgo che servirebbe
una parola grande
per parlare della neve,
pensarla senza pensare
cominciando dal silenzio
dei campi
che portano al lago.
La grande fatica fatta
per ritrovare i pezzi
sparsi nella stanza
tu non la conosci,
che mi pare, a volte,
d'essere stato un guastatore
fermo nell'attesa, di straforo
con le sue beghe da sfollato
che se la cava appena.
A volte basta proprio poco: tu che di là cuoci due uova in
nove minuti esatti, canticchiando una canzone allegra. Così
lo scucito dei nostri corpi riposa, torna fra me e te, rincasa.
Anche allora era tutto così semplice:
all'inizio della primavera tua nonna prendeva il primo latte
munto, con un mestolo di legno lo spargeva sul prato "questo
è per voi popolo delle foreste" diceva.
Si crede davvero
che sia una semplicità
di gesti, unghie, profili
di strade sterrate e prati
al punto di vedere
dove tutto cede
sfinisce
disarticola e rende il corpo
sottile, ma sono anche io
nei tram popolosi
la sera, e di poeti
nemmeno l'ombra.
Ci sono queste persone che corrono
una fermata, poi l'altra
che non ti basta il fiato
un corpo contro un altro corpo
con tutte le lingue, tutti gli accenti
di un popolo in fuga
perché qui l'amore è sotterraneo
e di fretta
servono altri biglietti, metrò più veloci
per uscirne vivi
io apro la bocca e la tengo ferma, forte
coi denti lì
a consumare la lingua
e me la mangio tutta
senza scuse
questa voglia di correre
con le mani in tasca, immobili
come se aspettare avesse addosso un viaggio
che solo lo sguardo pare allontanato.
tutti compatti, vicini, schiacciati 17
in un pub che dà scampo solo ai più sorridenti
tra gli occhi di chi si conosce
e chi nuovo ha la voce più forte
che bisogna portare ciascuno un colore
e non pensare al freddo fuori
e chiedere d'altri
e lasciare fare ad altri ancora
non bisogna essere vecchi, sventolare certezze
ci si accontenta di stare
neanche troppo comodi
tra un sorriso e la musica che non interessa
che c'abbiamo grandi pianure dentro
e laghi
e abbracci
ma nascondiamo ancora le mani
per pudore
per proteggere l'interno più tenero.
Essere pronti
davanti alle facce
davanti al sonno delle mani, chiuse per colpire
stare lì, al centro
con la nausea di chi ha mischiato troppo,
e s'è lasciato fare una vita
ritornare dentro
con le vene aperte
a sabotare il cuore.
Prendi i pochi prezzi rimasti
dove il corpo subisce lo scatto rabbioso del sangue
con le vertebre dure
schiacciate
ma comunque lì, a sopportarne il peso
è un corpo che si rende conto
di chi siamo noi
indietreggia
ritira
s'accorge del disordine
e che si può morire
scorticati
scavati dal sole
come pochi pezzi di pane
è nella mancanza il nostro andare incerto
è alla fermata degl'autobus
ch'è un raduno di gente senza criterio
nello scompiglio
precipitata via
in un viaggio che non si sa per dove
mascherato da un ridere sotto, nel basso delle facce
e dalla cortesia
di chi il ritardo lo sconta addosso
con una dignità che difende, ch'espone
che preme e se ne sta lì
come noi
attaccati a quel che si può.