Le migliori poesie di Umberto Saba

Poeta, scrittore e aforista, nato venerdì 9 marzo 1883 a Trieste (Italia), morto domenica 25 agosto 1957 a Gorizia (Italia)
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Scritta da: Cheope

Fanciulle

Maria ti guarda con gli occhi un poco
come Venere loschi.
Cielo par che s'infoschi
quello sguardo, il suo accento è quasi roco.

Non è bella, né in donna ha quei gentili
atti, cari agli umani;
belle ha solo le mani,
mani da baci, mani signorili.

Dove veste, sue vesti son richiami
per il maschio, un'asprezza
strana di tinte. È mezza
bambina e mezza bestia. Eppure l'ami.

Sai ch'è ladra e bugiarda, una nemica
dei tuoi intimi pregi;
ma quanto più la spregi
più la vorresti alle tue voglie amica.
Umberto Saba
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    Scritta da: Gabriella Stigliano

    Quando il pensiero

    Quando il pensiero di te mi accompagna
    nel buio, dove a volte dagli orrori
    mi rifugio del giorno, per dolcezza
    immobile mi tiene come statua.
    Poi mi levo, riprendo la mia vita.
    Tutto è lontano da me, giovanezza,
    gloria; altra cura dagli altri mi strana.
    Ma quel pensiero di te che vivi,
    mi consola di tutto. Oh tenerezza
    immensa, quasi disumana!
    Umberto Saba
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      Scritta da: Cheope

      Squadra paesana

      Anch'io tra i molti vi saluto, rosso-
      alabardati,
      sputati
      dalla terra natia, da tutto un popolo
      amati.
      Trepido seguo il vostro gioco.
      Ignari
      esprimete con quello antiche cose
      meravigliose
      sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari
      soli d'inverno.

      Le angosce
      che imbiancano i capelli all'improvviso,
      sono da voi così lontane! La gloria
      vi dà un sorriso
      fugace: il meglio onde disponga. Abbracci
      corrono tra di voi, gesti giulivi.

      Giovani siete, per la madre vivi;
      vi porta il vento a sua difesa. V'ama
      anche per questo il poeta, dagli altri
      diversamente - ugualmente commosso.
      Umberto Saba
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        Scritta da: Cheope

        L'ora nostra

        Sai un'ora del giorno che più bella
        sia della sera? Tanto
        più bella e meno amata? È quella
        che di poco i suoi sacri ozi precede;
        l'ora che intensa è l'opera, e si vede
        la gente mareggiare nelle strade;
        sulle mole quadrate delle case
        una luna sfumata, una che appena
        discerni nell'aria serena.

        È l'ora che lasciavi la campagna
        per goderti la tua cara città,
        dal golfo luminoso alla montagna
        varia d'aspetti in sua bella unità;
        l'ora che la mia vita in piena va
        come un fiume al suo mare;
        e il mio pensiero, il lesto camminare
        della folla, gli artieri in cima all'alta
        scala, il fanciullo che correndo salta
        sul carro fragoroso, tutto appare
        fermo nell'atto, tutto questo andare
        ha una parvenza d'immobilità.

        È l'ora grande, l'ora che accompagna
        meglio la nostra vendemmiante età.
        Umberto Saba
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          Scritta da: Cheope

          Teatro degli Artigianelli

          Falce martello e la stella d'Italia
          ornano nuovi la sala. Ma quanto
          dolore per quel segno su quel muro!

          Esce, sorretto dalle grucce, il Prologo.
          Saluta al pugno; dice sue parole
          perché le donne ridano e i fanciulli
          che affollano la povera platea.
          Dice, timido ancora, dell'idea
          che gli animi affratella; chiude: "E adesso
          faccio come i tedeschi: mi ritiro".
          Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
          rosseggia parco ai bicchieri l'amico
          dell'uomo, cui rimargina ferite,
          gli chiude solchi dolorosi; alcuno
          venuto qui da spaventosi esigli,
          si scalda a lui come chi ha freddo al sole.

          Questo è il Teatro degli Artigianelli,
          quale lo vide il poeta nel mille
          novecentoquarantaquattro, un giorno
          di Settembre, che a tratti
          rombava ancora il canone, e Firenze
          taceva, assorta nelle sue rovine.
          Umberto Saba
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            Amai

            Amai trite parole che non uno
            osava. M'incantò la rima fiore
            amore,
            la più antica difficile del mondo.

            Amai la verità che giace al fondo,
            quasi un sogno obliato, che il dolore
            riscopre amica. Con paura il cuore
            le si accosta, che più non l'abbandona.

            Amo te che mi ascolti e la mia buona
            carta lasciata al fine del mio gioco.
            Umberto Saba
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              Scritta da: alessia14

              Ulisse

              Nella mia giovinezza ho navigato
              lungo le coste dalmate. Isolotti
              a fior d'onda emergevano, ove raro
              un uccello sostava intento a prede,
              coperti d'alghe, scivolosi, al sole
              belli come smeraldi. Quando l'alta
              marea e la notte li annullava, vele
              sottovento sbandavano più al largo,
              per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
              è quella terra di nessuno. Il porto
              accende ad altri i suoi lumi; me al largo
              sospinge ancora il non domato spirito,
              e della vita il doloroso amore.
              Umberto Saba
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                Scritta da: Cheope

                A mia moglie

                Tu sei come una giovane
                una bianca pollastra.
                Le si arruffano al vento
                le piume, il collo china
                per bere, e in terra raspa;
                ma, nell'andare, ha il lento
                tuo passo di regina,
                ed incede sull'erba
                pettoruta e superba.
                È migliore del maschio.
                È come sono tutte
                le femmine di tutti
                i sereni animali
                che avvicinano a Dio,
                Così, se l'occhio, se il giudizio mio
                non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
                e in nessun'altra donna.
                Quando la sera assonna
                le gallinelle,
                mettono voci che ricordan quelle,
                dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
                ti quereli, e non sai
                che la tua voce ha la soave e triste
                musica dei pollai.

                Tu sei come una gravida
                giovenca;
                libera ancora e senza
                gravezza, anzi festosa;
                che, se la lisci, il collo
                volge, ove tinge un rosa
                tenero la tua carne.
                Se l'incontri e muggire
                l'odi, tanto è quel suono
                lamentoso, che l'erba
                strappi, per farle un dono.
                È così che il mio dono
                t'offro quando sei triste.

                Tu sei come una lunga
                cagna, che sempre tanta
                dolcezza ha negli occhi,
                e ferocia nel cuore.
                Ai tuoi piedi una santa
                sembra, che d'un fervore
                indomabile arda,
                e così ti riguarda
                come il suo Dio e Signore.
                Quando in casa o per via
                segue, a chi solo tenti
                avvicinarsi, i denti
                candidissimi scopre.
                Ed il suo amore soffre
                di gelosia.

                Tu sei come la pavida
                coniglia. Entro l'angusta
                gabbia ritta al vederti
                s'alza,
                e verso te gli orecchi
                alti protende e fermi;
                che la crusca e i radicchi
                tu le porti, di cui
                priva in sé si rannicchia,
                cerca gli angoli bui.
                Chi potrebbe quel cibo
                ritoglierle? Chi il pelo
                che si strappa di dosso,
                per aggiungerlo al nido
                dove poi partorire?
                Chi mai farti soffrire?

                Tu sei come la rondine
                che torna in primavera.
                Ma in autunno riparte;
                e tu non hai quest'arte.

                Tu questo hai della rondine:
                le movenze leggere:
                questo che a me, che mi sentiva ed era
                vecchio, annunciavi un'altra primavera.

                Tu sei come la provvida
                formica. Di lei, quando
                escono alla campagna,
                parla al bimbo la nonna
                che l'accompagna.

                E così nella pecchia
                ti ritrovo, ed in tutte
                le femmine di tutti
                i sereni animali
                che avvicinano a Dio;
                e in nessun'altra donna.
                Umberto Saba
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