Anch'io tra i molti vi saluto, rosso- alabardati, sputati dalla terra natia, da tutto un popolo amati. Trepido seguo il vostro gioco. Ignari esprimete con quello antiche cose meravigliose sopra il verde tappeto, all'aria, ai chiari soli d'inverno.
Le angosce che imbiancano i capelli all'improvviso, sono da voi così lontane! La gloria vi dà un sorriso fugace: il meglio onde disponga. Abbracci corrono tra di voi, gesti giulivi.
Giovani siete, per la madre vivi; vi porta il vento a sua difesa. V'ama anche per questo il poeta, dagli altri diversamente - ugualmente commosso.
Tu così avventuroso nel mio mito, così povero sei fra le tue sponde. Non hai, ch'io veda, margine fiorito. Dove ristagni scopri cose immonde.
Pur, se ti guardo, il cor d'ansia mi stringi, o torrentello. Tutto il tuo corso è quello del mio pensiero, che tu risospingi alle origini, a tutto il fronte e il bello che in te ammiravo; e se ripenso i grossi fiumi, l'incontro con l'avverso mare, quest'acqua onde tu appena i piedi arrossi nudi a una lavandaia, la più pericolosa e la più gaia, con isole e cascate, ancor m'appare; e il poggio da cui scendi è una montagna.
Sulla tua sponda lastricata l'erba cresceva, e cresce nel ricordo sempre; sempre è d'intorno a te sabato sera; sempre ad un bimbo la sua madre austera rammenta che quest'acqua è fuggitiva, che non ritrova più la sua sorgente, né la sua riva; sempre l'ancor bella donna si attrista, e cerca la sua mano il fanciulletto, che ascoltò uno strano confronto tra la vita nostra e quella della corrente.
Di corsa usciti a mezzo il campo, date prima il saluto alle tribune. Poi, quello che nasce poi, che all'altra parte rivolgete, a quella che più nera si accalca, non è cosa da dirsi, non è cosa ch'abbia un nome.
Il portiere su e giù cammina come sentinella. Il pericolo lontano è ancora. Ma se in un nembo s'avvicina, oh allora una giovane fiera si accovaccia e all'erta spia.
Festa è nell'aria, festa in ogni via. Se per poco, che importa? Nessun'offesa varcava la porta, s'incrociavano grida ch'eran razzi. La vostra gloria, undici ragazzi, come un fiume d'amore orna Trieste.
Sai un'ora del giorno che più bella sia della sera? Tanto più bella e meno amata? È quella che di poco i suoi sacri ozi precede; l'ora che intensa è l'opera, e si vede la gente mareggiare nelle strade; sulle mole quadrate delle case una luna sfumata, una che appena discerni nell'aria serena.
È l'ora che lasciavi la campagna per goderti la tua cara città, dal golfo luminoso alla montagna varia d'aspetti in sua bella unità; l'ora che la mia vita in piena va come un fiume al suo mare; e il mio pensiero, il lesto camminare della folla, gli artieri in cima all'alta scala, il fanciullo che correndo salta sul carro fragoroso, tutto appare fermo nell'atto, tutto questo andare ha una parvenza d'immobilità.
È l'ora grande, l'ora che accompagna meglio la nostra vendemmiante età.
Fu nelle vie di questo Borgo che nuova cosa m'avvenne.
Fu come un vano sospiro il desiderio improvviso d'uscire di me stesso, di vivere la vita di tutti, d'essere come tutti gli uomini di tutti i giorni.
Non ebbi io mai sì grande gioia, né averla dalla vita spero. Vent'anni avevo quella volta, ed ero malato. Per le nuove strade del Borgo il desiderio vano come un sospiro mi fece suo.
Dove nel dolce tempo d'infanzia poche vedevo sperse arrampicate casette sul nudo della collina, sorgeva un Borgo fervente d'umano lavoro. In lui la prima volta soffersi il desiderio dolce e vano d'immettere la mia dentro la calda vita di tutti, d'essere come tutti gli uomini di tutti i giorni.
La fede avere di tutti, dire parole, fare cose che poi ciascuno intende, e sono, come il vino ed il pane, come i bimbi e le donne, valori di tutti. Ma un cantuccio, ahimé, lasciavo al desiderio, azzurro spiraglio, per contemplarmi da quello, godere l'alta gioia ottenuta di non esser più io, d'essere questo soltanto: fra gli uomini un uomo.
Nato d'oscure vicende, poco fu il desiderio, appena un breve sospiro. Lo ritrovo - eco perduta di giovinezza - per le vie del Borgo mutate più che mutato non sia io. Sui muri dell'alte case, sugli uomini e i lavori, su ogni cosa, è sceso il velo che avvolge le cose finite.
La chiesa è ancora gialla, se il prato che la circonda è meno verde. Il mare, che scorgo al basso, ha un solo bastimento, enorme, che, fermo, piega da un parte. Forme, colori, vita onde nacque il mio sospiro dolce e vile, un mondo finito. Forme, colori, altri ho creati, rimanendo io stesso, solo con il mio duro patire. E morte m'aspetta.
Ritorneranno, o a questo Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni del fiore. Un altro rivivrà la mia vita, che in un travaglio estremo di giovinezza, avrà per egli chiesto, sperato, d'immettere la sua dentro la vita di tutti, d'essere come tutti gli appariranno gli uomini di un giorno d'allora.
Tu sei come una giovane una bianca pollastra. Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell'andare, ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull'erba pettoruta e superba. È migliore del maschio. È come sono tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio, Così, se l'occhio, se il giudizio mio non m'inganna, fra queste hai le tue uguali, e in nessun'altra donna. Quando la sera assonna le gallinelle, mettono voci che ricordan quelle, dolcissime, onde a volte dei tuoi mali ti quereli, e non sai che la tua voce ha la soave e triste musica dei pollai.
Tu sei come una gravida giovenca; libera ancora e senza gravezza, anzi festosa; che, se la lisci, il collo volge, ove tinge un rosa tenero la tua carne. Se l'incontri e muggire l'odi, tanto è quel suono lamentoso, che l'erba strappi, per farle un dono. È così che il mio dono t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga cagna, che sempre tanta dolcezza ha negli occhi, e ferocia nel cuore. Ai tuoi piedi una santa sembra, che d'un fervore indomabile arda, e così ti riguarda come il suo Dio e Signore. Quando in casa o per via segue, a chi solo tenti avvicinarsi, i denti candidissimi scopre. Ed il suo amore soffre di gelosia.
Tu sei come la pavida coniglia. Entro l'angusta gabbia ritta al vederti s'alza, e verso te gli orecchi alti protende e fermi; che la crusca e i radicchi tu le porti, di cui priva in sé si rannicchia, cerca gli angoli bui. Chi potrebbe quel cibo ritoglierle? Chi il pelo che si strappa di dosso, per aggiungerlo al nido dove poi partorire? Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine che torna in primavera. Ma in autunno riparte; e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine: le movenze leggere: questo che a me, che mi sentiva ed era vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida formica. Di lei, quando escono alla campagna, parla al bimbo la nonna che l'accompagna.
E così nella pecchia ti ritrovo, ed in tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio; e in nessun'altra donna.
Trieste Ho attraversata tutta la città. Poi ho salita un'erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città.
Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno circola ad ogni cosa un'aria strana, un'aria tormentosa, l'aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva....
Spesso, per ritornare alla mia casa prendo un'oscura via di città vecchia. Giallo in qualche pozzanghera si specchia qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va dall'osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l'infinito nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d'amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via..