Poetessa, saggista e traduttrice, premio nobel alla letteratura 1996, nato lunedì 2 luglio 1923 a Kórnik (Polonia), morto mercoledì 1 febbraio 2012 a Cracovia (Polonia)
Una vita all'istante. Spettacolo senza prove. Corpo senza modifiche. Testa senza riflessione.
Non conosco la parte che recito. So solo che è la mia, non mutabile.
Il soggetto della pièce va indovinato direttamente in scena.
Mal preparata all'onore di vivere, reggo a fatica il ritmo imposto dell'azione. Improvviso, benché detesti improvvisare. Inciampo a ogni passo nella mia ignoranza. Il mio modo di fare sa di provinciale. I miei istinti hanno del dilettante. L'agitazione, che mi scusa, tanto più mi umilia. Sento come crudeli le attenuanti.
Parole e impulsi non revocabili, stelle non calcolate, il carattere come un capotto abbandonato in corsa - ecco gli esiti penosi di tale fulmineità.
Poter provare prima, almeno un mercoledì, o replicare ancora una volta, almeno un giovedì! Ma qui già sopraggiunge il venerdì con un copione che non conosco. Mi chiedo se sia giusto (con voce rauca, perché neanche l'ho potuta schiarire tra le quinte).
Illusorio pensare che sia solo un esame superficiale, fatto in un locale provvisorio. No.
Sto sulla scena e vedo quant'è solida. Mi colpisce la precisione di ogni attrezzo. Il girevole è già in funzione da tempo. Anche le nebulose più lontane sono state accese. Oh, non ho dubbi che questa sia la prima. E qualunque cosa io faccia, si muterà per sempre in ciò che ho fatto.
Perché mai a tal punto singolare? Questa e non quella? E qui che ci sto a fare? Di martedì? In una casa e non nel nido? Pelle e non squame? Non foglia, ma viso? Perché di persona una volta soltanto? E sulla terra? Con una stella accanto? Dopo tante ere di non presenza? Per tutti i tempi e tutti gli ioni? Per i vibrioni e le costellazioni? E proprio adesso? Fino all'essenza? Sola da me e con me? Perché mi chiedo, non a lato, né a miglia di distanza, non ieri, né cent'anni addietro, siedo e guardo un angolo buio della stanza come, rizzato il capo, sta a guardare la cosa ringhiante che chiamano cane?
Nella foto della folla la mia testa è la quarta dal bordo o forse la settima da sinistra o la ventesima dal basso;
la mia testa non so quale, non più una, non più unica, già simile alle simili, né femminile, né maschile;
i segni che lei mi manda non sono affatto particolari;
forse lo Spirito del Tempo la vede, però non la guarda;
la mia testa statistica, che consuma acciaio e cavi tranquillamente, globalmente;
è qualunque e non si vergogna, è scambiale, e non si dispera;
è come se non l'avessi fatto a parte, a modo mio;
è come se si scavasse un cimitero pieno di crani anonimi di buona conservabilità nonostante la mortalità; come se lei già fosse là, la mia testa d'altri, di chiunque -
dove, se qualcosa ricorda, è il suo avvenire profondo.
Qui giace come virgola antiquata l'autrice di qualche poesia. La terra l'ha degnata dell'eterno riposo, sebbene la defunta dai gruppi letterari stesse ben distante. E anche sulla tomba di meglio non c'è niente di queste poche rime, d'un gufo e la bardana. Estrai dalla borsa il tuo personal, passante, e sulla sorte di Szymborska medita un istante.
Guardate com'è sempre efficiente, come si mantiene in forma nel nostro secolo l'odio. Con quanta facilità supera gli ostacoli. Come gli è facile avventarsi, agguantare.
Non è come gli altri sentimenti. Insieme più vecchio e più giovane di loro. Da solo genera le cause che lo fanno nascere. Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno. L'insonnia non lo indebolisce, ma lo rafforza.
Religione o non religione - purché ci si inginocchi per il via. Patria o no - purché si scatti alla partenza. Anche la giustizia va bene all'inizio. Poi corre tutto solo. L'odio. L'odio. Una smorfia di estasi amorosa gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti - malaticci e fiacchi. Da quando la fratellanza può contare sulle folle? La compassione è mai giunta prima al traguardo? Il dubbio quanti volenterosi trascina? Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso. Occorre dire quanti canzoni ha composto? Quante pagine ha scritto nei libri di storia? Quanti tappeti umani ha disteso su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità: sa creare bellezza. Splendidi i suoi bagliori nella notte nera. Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata. Innegabile è il pathos delle rovine e l'umorismo grasso della colonna che vigorosa le sovrasta.
è un maestro del contrasto tra fracasso e silenzio, tra sangue rosso e neve bianca. E soprattutto non lo annoia mai il motivo del lindo carnefice sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti. Se deve aspettare, aspetterà. Lo dicono cieco. Cieco? Ha la vista acuta del cecchino e guarda risoluto al futuro - lui solo.
In libreria con l'opera di Proust non ti danno un telecomando, non puoi cambiare sulla partita di calcio o sul telequiz con in premio una Volvo.
Viviamo più a lungo, ma con minor esattezza e con frasi più brevi.
Viaggiamo più veloci, più spesso, più lontano e torniamo con foto invece di ricordi. Qui sono io con uno. Là, credo, è il mio ex. Qui sono tutti nudi, quindi di certo in spiaggia.
Sette volumi - pietà. Non si potrebbe riassumerli, abbreviarli o meglio ancora mostrarli in immagini? Una volta hanno trasmesso un serial, La bambola, ma per mia cognata è di un altro che inizia con la P.
E poi tra parentesi, chi mai era costui. Scriveva, dicono, a letto, per interi anni. Un foglio dopo l'altro, a velocità ridotta. Noi invece andiamo in quinta e - toccando ferro - stiamo bene.
Ci sono cataloghi di cataloghi. Poesie su poesie. Ci sono drammi su attori recitati da attori. Lettere in risposta a lettere. Parole che spiegano parole. Cervelli impegnati a studiare il cervello. Ci sono tristezze contagiose come il riso. Carte nate da carte macerate. Sguardi veduti. Casi declinati da casi. Fiumi grandi per il copioso contributo di piccoli. Foreste infestate da foreste. Macchine destinate a produrre macchine. Sogni che all'improvviso ci destano dai sogni. Una salute di ferro necessaria a riacquistare la salute. Scale che portano giù come portano su. Occhiali per cercare occhiali. L'inspirazione e l'espirazione del respiro. E ci sia anche, almeno di tanto in tanto, l'odio dell'odio. Perché alla fin fine c'è l'ignoranza dell'ignoranza. E mani ingaggiate per lavarsene le mani.
È stato, è passato. È stato, dunque è passato. In una sequenza sempre irreversibile, poiché tale è la regola di questa partita persa. Conclusione banale, inutile scriverne, se non per il fatto incontestabile, un fatto per i secoli dei secoli, per l'intero cosmo, qual è e sarà, che qualcosa è stato davvero, finche non è passato, persino il fatto che oggi hai mangiato gnocchi con i ciccioli.