A quanto pare mia madre non dovrebbe avermi abortito
Vinco le parole al fiato lacero le fibre necessarie sanguino il sanguinabile giro il cannocchiale verso di me non compro nessuna macchina usata da quel tizio la macchina usata ce l'ho già infilo il mare ne vengo sputato cedo la ragione al vento dò forma alla strada con l'ombra del machete dò forma alla mia ombra col gesso conosco il muschio senza fargli conoscere me conosco il bordo del mondo per sentito dire non mi lascio minacciare nel futuro inalo il monte rosa scalcio giro le trottole conservo la soglia del dolore mi presento gli occhi che per poco non ho usato mi concedo, mi assumo, mi spingo, mi apposto, mi bracco mi invito alla festa dirigo l'attenzione con bacchette in ciliegio riconosco il piacere rilascio le spalle non trattengo urla non trattengo nascite non dubito delle stelle non dubito del fatto che mia madre non mi abbia abortito
Non è ancora chiaro se siano finiti del tutto gli anni in cui eravamo distratti.
Non ci accorgevamo che le nostre cellule sfinivano e quelle nuove arrivavano e quelle di nostro padre andavano a male.
Negli ospedali camminavamo dritti verso un letto non giravamo mai lo sguardo in corsia sentivamo le canzoni ci abituavamo alle peggiori le ricantavamo forte per non sentire notizie davvero vere.
Come certi prestigiatori ci infilavamo lastre sottili di ferro a dividere la parte sopra l'ombelico da quella sotto e non diteci che non sapete quale porgevamo alle ragazze? E non diteci che non sapete che la loro richiesta non l'ascoltavamo con precisa distrazione e scelta?
Ai funerali pensavamo ad altro se ci andavamo impegnati a rendere coerente l'epitaffio uno che se l'è cavata.
Fatti di pezzi di uomo messi insieme con pazienza orefice, braccia e orecchie conserte eclissi parziale di occhi. Camminavamo sul filo, con in bocca il cucchiaio, sul cucchiaio l'uovo, sull'uovo il peso del cielo.