Ed esso muore
Ed esso muore
Colui che in trono posa lascia lo segno
dello pugnale infitto entro lo petto
ché di tale malvagità è figlio degno.
Tutto nega quanto che prima detto,
de li discorsi fatti null'ammette
e d'ogni sua parola nega concetto.
Di torte gusta appieno tutte fette
che per ingordigia sua nulla è bastanza,
pel popolo, però, son cinghie strette.
Quando su trono assiso è in adunanza
a lungo disquisisce di scarsezza
fingendo, quasi piange, di doglianza.
Al popolo affamato in su la piazza
ringhia qual cane che di tigna more,
infamia, qual verità, mostra con stizza.
Amici cari, a me langue lo core,
giacché donar vorrei gioie e tesori,
ma preannunciare devo altro dolore.
Pel nostre casse vuote di valori
dobbiamo dar di piglio a nostra messe
onde pianare debiti a fornitori.
Le vigliaccate restano le stesse
perché col garbo di grand'imbroglione
riesce a ingarbugliare tutte matasse.
Lui s'impinguisce ancora'l furfantone
e non ha cura di paesello che more,
ma pensa a tasche sue, il gran ladrone
ch'è esente core suo all'altrui dolore.
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