Scritta da: Andrea De Candia

Prigione

L'aria infiammata che mi invoca a danze
di primavera non può nulla ormai
sopra il mio corpo sordido dagli anni.

La mia fame è più alata di un uccello
ma si ciba di stupida gramigna.

Forme pure mi scuotono la mente
perché traduca tutte le mie ire,
ma ho le mani inceppate dalle tristi
catene d'ozio e grande lo sconforto
mi ha diluviata dopo che sparisti.

Se affidassi al buon vento questo viso
dove già si accavallano le tracce
di un'antica bellezza e mi affissassi
alla mano pulita della luce,
so che ne tornerei trasfigurata.

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