Canto selvaggio
Ho gridato di gioia, nel tramonto.
Cercavo i ciclamini fra i rovai:
ero salita ai piedi di una roccia
gonfia e rugosa, rotta di cespugli.
Sul prato crivellato di macigni,
sul capo biondo delle margherite,
sui miei capelli, sul mio collo nudo,
dal cielo alto si sfaldava il vento.
Ho gridato di gioia, nel discendere.
Ho adorato la forza irta e selvaggia
che fa le mie ginocchia avide al balzo;
la forza ignota e vergine, che tende
me come un arco nella corsa certa.
Tutta la via sapeva di ciclami;
i prati illanguidivano nell'ombra,
frementi ancora di carezze d'oro.
Lontano, in un triangolo di verde,
il sole s'attardava. Avrei voluto
scattare, in uno slancio, a quella luce;
e sdraiarmi nel sole, e denudarmi,
perché il morente dio s'abbeverasse
del mio sangue. Poi restare, a notte,
stesa nel prato, con le vene vuote:
le stelle – a lapidare imbestialite
la mia carne disseccata, morta.
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