Sognavi, e nel tuo sogno, tracotanza
c'era, un volere esser solo tu,
tu tutto l'alto, l'alto disponibile:
tu non moristi quando la sua luce
decompose la pelle e si nascose
persa tra tutte l'ossa delle nubi,
non chiudesti la porta della casa,
né abbassasti tutte le sue palpebre,
le sue finestre aperte ad ogni sguardo,
trascelsi un occhio e ti mettesti al centro
e d'una di esse tu fosti pupilla:
cadde improvvisa pioggia, la sua cenere,
pianse una pietra d'acqua le sue lacrime,
tutto raggiunse il suolo e vi rimase.
Ma, pure non essendovi salita
per quel cadere in cui riconoscesti
il tuo destino quasi ineluttabile,
vedesti fino al punto in cui la fine
portò al suo completarsi, un altro inizio:
l'ossa recuperarono biancore,
s'andarono spostando mano mano
verso l'estremità, verso i suoi fianchi
fino a finire libere, ma vive,
fuori dal corpo che mostrò la luce,
la sua pelle celeste. L'invidiasti,
il paesaggio di serenità
che fu riapparso, e semplice e arcano,
non capisti i sorrisi degli umani
a quel vedere ritrovato il cielo:
tu l'invidiasti: tu fosti colpevole!
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