Scritta da: Andrea De Candia
Mi rialzerò dal sonno, dall'inganno
che mi creai con l'ombra del mio letto
per proteggere il corpo della schiena
– la crosta oscura della cecità –
sarà come fenice la mia palpebra
si librerà leggiadra come pianta
di ballerina ch'è sulle sue punte,
ancora in terra, ma col resto in volo,
e poi sarà ferita già sfumata
in tenero declino di fontana
che spoglia nuda, il centro, dei suoi petali,
ritornerà, alle origini, a tacersi –
la luce è il suo cerotto, l'ha sepolta
ancora viva, non trama vendetta! –
luce che cola, gocce del suo sangue
di cuore, del suo volto che ora sono
tutto l'azzurro è il mio tappeto e il trono
e sono anche corona che rimanda
in basso, i suoi riflessi, per la pietas
nei confronti del povero mortale,
ché il palmo del suo sguardo abbia al suo centro
l'oro fugace eterno del riflesso,
e sia giustizia ché il possesso è un prestito!

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