Padiglione cancro
Questo sole
che sconfina dietro ai vetri
non ha un briciolo di discrezione
e resta in bilico
sul davanzale della finestra
come un pagliaccio fuori posto.
Questa luna
madre fedele delle nostre chimere
se sente cani e dannati
ululare insieme
se ne va
ai balconi degli amanti
a riempirsi la veste
di canti e poesie.
Ma tu non puoi fuggire
la tua invisibile prigione
e cerchi un lembo d’aria
dove schiudere le ali.
Lo sai,
stai trascinando
le tue stelle filanti
e giri una stridula ruota
nei mulini del cancro.
Con quella parrucca di traverso
e il viso gonfio di farmaci
sembri la rana col bue,
ma non c’è favola
da raccontare,
voce di mare
da sigillare
nel cuore di un vaso:
il porto appena sfiorato
è gioco di luce nella tormenta
e l’orologio cuore malato
non mastica più ore.
E non puoi nemmeno pregare
perché qui abitano gli dei
che non sanno secoli di pene
e ridono dei nostri scongiuri,
e non puoi nemmeno urlare
perché qui vivono le ombre
e bisogna fare piano,
sempre più piano.
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