C'è il che
Offre rum e tequila,
e femmina di cocco
con una sola c,
prepara per gli amici
il cuba encarcelada,
versione americana del cuba libre,
nome da propaganda.
Veste di un bianco fine
e copre la testa
con un panama all'antica.
Indica col dito la sua guancia destra
e racconta la storia di un cicatrice
che nessuno vede.
Forse scambia le ferite dell'anima
con quelle del corpo,
della pelle.
Lui
la rivoluzione
l'ha conosciuta,
o forse no.
L'ha combattuta.
Forse,
o forse l'ha condannata,
stando in disparte,
col sigaro in bocca,
e la condanna in mano.
O se l'ha fatta,
la rivoluzione
l'ha fatta in retroguardia,
oppure a parole,
un racconto.
Magari l'avrà descritta,
come corrispondente
di un foglio di carta
in lingua spagnola.
Di certo la cita molto.
O forse no,
quanto basta.
Nessuno lo sa,
siamo tutti sulla parola,
sulla sua parola,
ma è facile credere,
finché offre da bere.
Nessuno può testimoniare
né il fatto ne il non fatto,
né i fatti o i non fatti,
la verità con la sua verità.
Nel suo covo
carte illeggibili
sparse in giro
e frasi di convenzione,
fatte per le elezioni.
Tratte da libri distrutti
che non possono più testimoniare
di essere stati rapiti
e derubati dei contenuti.
Restano ai muri ritagli di manifesti
strappati con le mani.
Fanno pensare che nell'altra vita
fosse un candidato
della prima o della seconda repubblica.
A vedergli la pancia
sembrerebbe di entrambe.
Degli ideali che spiega
restano a prova le etichette,
non molto chiare,
cucite all'interno di schiena
sulla casacca da uomo politico,
casacca cambiata più volte,
come spesso succede in quel mondo.
E l'unica casacca che ha,
l'ha spesso fatta cambiare colore,
ma non l'ha mai fatta lavare
e disinfettare.
Ma in fondo
a noi cosa importa,
finché fa belle feste
e ci offre da bere,
è passato il concetto
che il voto è sprecato,
tanto vale gettarlo per chi offre di più.
Composta lunedì 25 febbraio 2013
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