La signorina Gelsomina
Ci parlava di suo nipote, giovane,
bravo, forte, bello, amato,
malato purtroppo di male "ai nervi"
costretto alle cure del manicomio
ma senza speranza di ritorno
agli affetti familiari:
aveva una spina nel cuore,
la corona del rosario
sempre tra le mani e
una fede incrollabile
nella divina provvidenza.
Ogni giovedì passava per casa
dopo la visita al nipote
per abbracciare le amiche
dell'infanzia lontana.
La signorina Gelsomina
era coetanea delle zie,
due sorelle maggiori di mia madre,
conviventi con la nostra numerosa
famiglia di padre, madre e sei figli.
Per noi tutti era di famiglia
facevamo a gara nel coccolarla
e perché restasse sino a sera
per cenare tutti insieme
e nell'attesa le chiacchiere intorno al fuoco
delle amiche ritrovate
a parlare dei loro tempi lontani
la scuola di ricamo dalle suore
qualche storia d'amore mai nato
le paure della guerra
e il dolore per quel ragazzo
senza speranza di guarire
e per noi ragazzi i compiti di scuola.
La signorina Gelsomina
ci amava come nipoti veri
e noi l'abbiamo amata come una zia.
Nascondevo la sua borsetta
nera di filo ritorto
perché restasse ancora
un po' con noi dopo la cena,
sul tardi le ridavo la borsetta
lei rendeva grazie
al Signore per la bella compagnia
e con mia madre
l'accompagnavamo a casa sua
tenendola sottobraccio
perché col buio ci vedeva poco
e le gambe non erano più ferme.
Composta martedì 5 marzo 2013
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