Temporale ad Akragas
Colonne,
nude file di colonne
erette verso il cielo,
dalle trabeazioni spezzate,
erose, rotolate
giù per il crinale.
Dal didentro
dell'antico tempio semidistrutto,
nel silenzio più profondo,
nella pace degli olivi,
sulla cima della collina
inverdita, mi guardo intorno,
e il tempo trascorso
di secoli e millenni,
come l'immensità di questo cielo,
mi rivela in uno l'infinito,
il passato, il presente,
l'incerto ed il certo domani.
Canti greci, elevantisi
dall'ara più distante,
echeggiano per la valle.
(Ma quel metro, quel ritmo,
o Cantore di questa terra travagliata,
non hai tu carpito
prima di riposare
sotto quel pino solitario? ).
Ecco avanzarsi il temporale
dalle minacciose cupe nubi d'autunno
guidate dal caldo vento di scirocco.
Con il volto verso il cielo,
immerso in un canto corale,
raggiunto dall'acre odore
di corpo sacrificale
al concludersi del rito,
resto così, assorto, muto,
colonna fra le colonne immobile,
bagnato dalla pioggia.
La stessa pioggia che da sempre
cede il passo alla secca saetta
che, accecante ed assordante,
Giove Pluvio decreta.
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