Nella mia vita ho esplorato il mare, lungo le rive della fantasia. Territori isolati comparivano, dove frequentemente gli animali si fermavano, rivestiti di colori luminosi, al giorno affascinati come l'arcobaleno. Quando i temporali e la notte li rendeva spenti, s'intravedevano con difficoltà, per scappare dalla paura. In questo mare le rive non sono di nessuno. Il porto accede ad altri mari inesplorati; sono al largo spinta dallo spirito di avventura, e l'esistenza dell'affetto con l'amore come accompagnamento.
La notte scura come il buio, un pezzo di cuore frantumato che cade, il dolore dentro di sé: brivido, risveglio, un respiro profondo, non disse nulla, e poi guardò alla finestra, il respiro diminuì. Dolci lacrime rigarono il volto, una presenza invisibile.
E nella notte nera come il nulla, a un tratto, col fragor d'arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un anto s'udì di madre, e il moto di una culla.
Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti a fior d'onda emergevano, ove raro un uccello sostava intento a prede, coperti d'alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi. Quando l'alta marea e la notte li annullava, vele sottovento sbandavano più al largo, per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno è quella terra di nessuno. Il porto accende ad altri i suoi lumi; me al largo sospinge ancora il non domato spirito, e della vita il doloroso amore.
Gli occhi della mia donna non sono come il sole; il corallo è assai più rosso del rosso delle sue labbra; se la neve è bianca, allora i suoi seni sono bigi; se i capelli sono crini, neri crini crescono sul suo capo.
Ho visto rose damascate, rosse e bianche, ma tali rose non le vedo sulle guance; e in certi profumi c'è maggior delizia che non nel fiato che la mia donna esala.
Amo sentirla parlare, eppure so che la musica ha un suono molto più gradito. Ammetto di non aver mai veduto incedere una dea, ma la mia donna camminando calca la terra.
Eppure, per il cielo, credo il mio amore tanto raro quanto qualsiasi donna travisata da falsi paragoni.
Per me è chiaro ch'è uguale agli dèi quell'uomo che in fronte a te siede e a te vicino ascolta te che parli dolcemente
e sorridi piena di desiderio, e questo basta a farmi saltare il cuore nel petto: perché appena ti guardo, ecco non sono più capace di dire una sillaba, anzi la lingua mi s'affloscia, subito un fuoco mi corre leggero sotto la pelle, con gli occhi non vedo più niente, le orecchie rimbombano,
un velo di sudore mi ricopre, un brivido mi possiede tutta, più verde dell'erba divento, e poco, persino a me è chiaro, mi manca a morire.
A vortice s'abbatte sul mio capo reclinato un suono d'agri lazzi. Scotta la terra percorsa da shembe ombre di pinastri, e al mare là in fondo fa velo più che i rami, allo sguardo, l'afa che a tratti erompe dal suolo che si avvena. Quando più sordo o meno il ribollio dell'acque che s'ingorgano accanto a lunghe secche mi raggiunge: o è un bombo talvolta ed un ripiovere di schiume sulle rocce. Come rialzo il viso, ecco cessare i tagli sul mio capo; e via scoccare verso le strepeanti acque, frecciate biancazzurre, due ghiandaie.