Scritta da: alessia14
in Poesie (Poesie d'Autore)
Domani sarò
ciò che oggi
ho scelto di essere.
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Domani sarò
ciò che oggi
ho scelto di essere.
Per me è chiaro ch'è uguale agli dèi
quell'uomo che in fronte a te
siede e a te vicino ascolta te
che parli dolcemente
e sorridi piena di desiderio, e questo basta
a farmi saltare il cuore nel petto:
perché appena ti guardo, ecco non sono più capace
di dire una sillaba,
anzi la lingua mi s'affloscia, subito
un fuoco mi corre leggero sotto la pelle,
con gli occhi non vedo più niente,
le orecchie rimbombano,
un velo di sudore mi ricopre, un brivido
mi possiede tutta, più verde dell'erba
divento, e poco, persino a me è chiaro,
mi manca a morire.
Ma tutto si può sopportare.
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d'onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d'alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l'alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un anto
s'udì di madre, e il moto di una culla.
Gli occhi della mia donna non sono come il sole;
il corallo è assai più rosso del rosso delle sue labbra;
se la neve è bianca, allora i suoi seni sono bigi;
se i capelli sono crini, neri crini crescono sul suo capo.
Ho visto rose damascate, rosse e bianche,
ma tali rose non le vedo sulle guance;
e in certi profumi c'è maggior delizia
che non nel fiato che la mia donna esala.
Amo sentirla parlare, eppure so
che la musica ha un suono molto più gradito.
Ammetto di non aver mai veduto incedere una dea,
ma la mia donna camminando calca la terra.
Eppure, per il cielo, credo il mio amore tanto raro
quanto qualsiasi donna travisata da falsi paragoni.
A vortice s'abbatte
sul mio capo reclinato
un suono d'agri lazzi.
Scotta la terra percorsa
da shembe ombre di pinastri,
e al mare là in fondo fa velo
più che i rami, allo sguardo, l'afa che a tratti erompe
dal suolo che si avvena.
Quando più sordo o meno il ribollio dell'acque
che s'ingorgano
accanto a lunghe secche mi raggiunge:
o è un bombo talvolta ed un ripiovere
di schiume sulle rocce.
Come rialzo il viso, ecco cessare
i tagli sul mio capo; e via scoccare
verso le strepeanti acque,
frecciate biancazzurre, due ghiandaie.