Traccio un solco per terra, in riva al mare: e la marea subito lo spiana. Così è la poesia. La stessa sorte tocca alla sabbia e tocca alla poesia al via vai della marea, al vien-vieni della morte.
Chiamarti rosa, aurora, acqua fluente, cos'è se non parole raccattate tra i rifiuti d'altre lingue, d'altre bocche? I misteri non sono quello che sembrano, o non riescono a dirli le parole: nello spazio profondo, stelle poche.
Dormivi. Ti sveglio. Il gran mattino reca l'illusione di un inizio. Avevi dimenticato Virgilio. Sono qui gli esametri. Ti porto molte cose. I quattro elementi dei greci: la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Un solo nome di donna. L'amicizia della luna. I chiari colori dell'atlante. L'oblio, che purifica. La memoria che sceglie e che riscrive. L'abitudine che ci aiuta a sentirci immortali. Il quadrante e le lancette che dividono l'inafferrabile tempo. La fragranza del sandalo. I dubbi che chiamiamo, non senza vanità, metafisica. Il manico del bastone che la tua mano attende. Il sapore dell'uva e del miele.
Tu sei il mare, ostacolo e legame, strada maestra e insondabile baratro. Mi limito a solcarlo: vascelletti e barchette di vane parole.
Mandami i tuoi tifoni, i grandi aratri che fino al cuore scavano e rovesciano. Travolgimi fino a dove le mie sillabe, vagiti e gusci, non hanno più senso.
Tu te ne vai e mentre te ne vai mi dici "Mi dispiace". Pensi così di darmi un po' di pace. Mi prometti un pensiero costante struggente quando sei sola e anche tra la gente. Mi dici "Amore mio mi mancherai. E in questi giorni tu cosa farai? Io ti rispondo" Ti avrò sempre presente, avrò il pensiero pieno del tuo niente".