Poesie preferite da Martha

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Scritta da: Michele Gentile

Liturgia

Resta una sigaretta spenta,
una macchia di gelato
restano una poesia da finire
e un altare da ricostruire.
Resta la sera sul davanzale,
l'ultima lacrima prima di partire
restano una luce accesa
e una vita da dimenticare.
Ma io non voglio vedere oltre le tue spalle
non voglio sgusciarti via dalle mani,
inchiodo al muro le nostre ombre
che restano abbracciate
aspettando che faccia giorno.
Composta lunedì 3 luglio 2017
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Meriggiare pallido e assorto

    Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d'orto,
    ascoltare tra i pruni e gli sterpi
    schiocchi di merli, frusci di serpi.

    Nelle crepe del suolo o su la veccia
    spiar le file di rosse formiche
    ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
    a sommo di minuscole biche.

    Osservare tra frondi il palpitare
    lontano di scaglie di mare
    mentre si levano tremuli scricchi
    di cicale dai calvi picchi.

    E andando nel sole che abbaglia
    sentire con triste meraviglia
    com'è tutta la vita e il suo travaglio
    in questo seguitare una muraglia
    che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Arsenio

      I turbini sollevano la polvere
      sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
      deserti, ove i cavalli incappucciati
      annusano la terra, fermi innanzi
      ai vetri luccicanti degli alberghi.
      Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
      in questo giorno
      or piovorno ora acceso, in cui par scatti
      a sconvolgerne l'ore
      uguali, strette in trama, un ritornello
      di castagnette.
      È il segno d'un'altra orbita: tu seguilo.
      Discendi all'orizzonte che sovrasta
      una tromba di piombo, alta sui gorghi,
      più d'essi vagabonda: salso nembo
      vorticante, soffiato dal ribelle
      elemento alle nubi; fa che il passo
      su la ghiaia ti scricchioli e t'inciampi
      il viluppo dell'alghe: quell'istante
      è forse, molto atteso, che ti scampi
      dal finire il tuo viaggio, anello d'una
      catena, immoto andare, oh troppo noto
      delirio, Arsenio, d'immobilità...
      Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
      dei violini, spento quando rotola
      il tuono con un fremer di lamiera
      percossa; la tempesta è dolce quando
      sgorga bianca la stella di Canicola
      nel cielo azzurro e lunge par la sera
      ch'è prossima: se il fulmine la incide
      dirama come un albero prezioso
      entro la luce che s'arrosa: e il timpano
      degli tzigani è il rombo silenzioso
      Discendi in mezzo al buio che precipita
      e muta il mezzogiorno in una notte
      di globi accesi, dondolanti a riva, -
      e fuori, dove un'ombra sola tiene
      mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
      l'acetilene -
      finché goccia trepido
      il cielo, fuma il suolo che t'abbevera,
      tutto d'accanto ti sciaborda, sbattono
      le tende molli, un fruscio immenso rade
      la terra, giù s'afflosciano stridendo
      le lanterne di carta sulle strade.
      Così sperso tra i vimini e le stuoie
      grondanti, giunco tu che le radici
      con sé trascina, viscide, non mai
      svelte, tremi di vita e ti protendi
      a un vuoto risonante di lamenti
      soffocati, la tesa ti ringhiotte
      dell'onda antica che ti volge; e ancora
      tutto che ti riprende, strada portico
      mura specchi ti figge in una sola
      ghiacciata moltitudine di morti,
      e se un gesto ti sfiora, una parola
      ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
      nell'ora che si scioglie, il cenno d'una
      vita strozzata per te sorta, e il vento
      la porta con la cenere degli astri.
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        Il pianto di Dio

        Quando nello spazio non si era ritirato
        ancora il Nulla di questo Universo,
        io credo che Dio cercasse qualcosa,
        come rimedio alla ferita della noia.

        In un istante girò intorno allo spazio,
        e non trovò nulla tranne se stesso:
        volle un'Essenza della sua Essenza: -
        e la sua Essenza fu la sua eco.

        Poi ritornando, triste e addolorato,
        dal sordo Silenzio e dal cieco Nulla,
        anche da loro volle qualcosa, ed essi
        diedero se stessi, cioè non diedero nulla.

        Quando Egli trovò l'Immensità così vuota,
        provò un profondo, crudele dolore:
        e sul Silenzio e sul Nulla
        pianse dal cuore la sua disperazione.

        Cadendo, le sue lacrime lo esaudirono,
        formando ogni stella nel cielo: -
        e come al Poeta anche a Dio,
        per creare, fu necessario piangere.
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