Non conosco i colori. È grigio, tutto si sfuma nei colori del fumo. Soprano nel silenzio. Giostra che non diverte, il cuore è leso. Vergogna e disdegno per il debole passo. Posa le armi regina lascia che i colori mi accechino.
Lo splendore dell'amicizia non è la mano tesa né il sorriso gentile né la gioia della compagnia: è l'ispirazione spirituale quando scopriamo che qualcuno crede in noi ed è disposto a fidarsi di noi.
E un adolescente disse: Parlaci dell'Amicizia. E lui rispose dicendo: Il vostro amico è il vostro bisogno saziato. È il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza. È la vostra mensa e il vostro focolare. Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace.
Quando l'amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo. E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore: Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia. Quando vi separate dall'amico non rattristatevi: La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura. E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito. Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano.
E il meglio di voi sia per l'amico vostro. Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena. Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte? Cercatelo sempre nelle ore di vita. Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto. E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia. Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.
Di solo amore è fatta la strada che ci unisce, di strette forti come forte è il sentimento che ci lega, di abbagli di luce, come abbagliasti la mia anima al tuo primo sguardo. Ti amo e prego di poter vivere con te, di solo amore, finché Dio vorrà.
Gioventù, paese cento volte dimenticato e perduto, luce della vita, oggi m'inondi di un tuo tardivo sapere, sprizzato dal lungo, greve sonno dell'anima profonda. Dolce, soave luce, sorgiva appena nata!
Tra allora e adesso l'intera vita, ahi, troppo spesso opima, superba ritenuta, non conta più. Voi sole, a me restituite, odo, fiabesche melodie perdute, giovani, e insieme vecchie eternamente, obliati, antichi fanciulleschi canti.
Su ogni turbine, polvere vorticante, splendi lassù, alta sul mio cammino, oltre i falliti sforzi del vagabondo errore, fonte serena, pura luce del mattino!
Le cose che ho imparato nella vita. Dite: è faticoso frequentare bambini. Avete ragione.
Poi aggiungete: bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. Ora avete torto.
Non è questo che più stanca. É piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all'altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli.
Se puoi vedere distrutto il lavoro di tutta la tua vita e senza dire una parola ricominciare, se puoi perdere i guadagni di cento partite senza un gesto e senza un sospiro di rammarico, se puoi essere un amante perfetto senza che l'amore ti renda pazzo, se puoi essere forte senza cessare di essere tenero e sentendoti odiato non odiare, pure lottando e difendendoti. Se tu sai meditare, osservare, conoscere, senza essere uno scettico o un demolitore, sognare senza che il sogno diventi il tuo padrone, pensare senza essere soltanto un pensatore, se puoi essere sempre coraggioso e mai imprudente, se tu sai essere buono e saggio senza diventare né moralista, né pedante. Se puoi incontrare il Trionfo e la Disfatta e ricevere i due mentitori con fronte eguale, se puoi conservare il tuo coraggio e il tuo sangue freddo quando tutti lo perdono. Allora i Re, gli Dei, la Fortuna e la Vittoria saranno per sempre tuoi sommessi schiavi e, ciò che vale meglio dei Re e della Gloria, Tu sarai un uomo.
Il bambino ha cento lingue cento mani cento pensieri cento modi di pensare di giocare e di parlare
cento sempre cento modi di ascoltare di stupire di amare cento allegrie per cantare e capire
cento mondi da scoprire cento mondi da inventare cento mondi da sognare.
Il bambino ha cento lingue (e poi cento cento cento) ma gliene rubano novantanove.
Gli dicono: di pensare senza mani di fare senza testa di ascoltare e di non parlare di capire senza allegrie di amare e di stupirsi solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono: di scoprire il mondo che già c’è e di cento gliene rubano novantanove.
Gli dicono: che il gioco e il lavoro la realtà e la fantasia la scienza e l’immaginazione il cielo e la terra la ragione e il sogno sono cose che non stanno insieme.
Gli dicono insomma che il cento non c’è. Il bambino dice: invece il cento c’è.