Padre vinto nel sonno oscuro e lontano, il bambino ti sveglia con la mano. Ancora nato nel tuo sogno chiede ricordo dell'età che ti correva giovane agli occhi, mesto al sollievo della sua sembianza non vuole che tu creda la morte buia nell'eternità. Era così soave il cielo intorno, a respiro e a cadenza della sera tu mi portavi in braccio al sonno fresco di primavera. Forse è questo la morte, un ricordare l'ultima voce che ci spense il giorno.
il vino è come un pianto desolato che inumidisce la mia gioventù contro i tuoi baci che un'altra deglutisce.
il vino è un'elisir che polverizza i desideri mefitici del mio corpo che svolazza gemendo di fronte alla tua effigie d'ombra assopita.
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il vino si schiarisce mescolato alle mie lacrime così silenti; il tuo volto gitano, infarinato, appare in ogni bolla. la mia gola è un arcipelago maledetto le mie tempie tappi di un pozzo immondo volere amarti ed affrontare l'altezza con cosi goffe angustie!
È venuta in mente (ma per caso, per l'odore di alcool e le bende) questo darsi da fare premuroso nonostante. E ancora, davanti a tutti, si sceglieva tra le azioni e il loro senso. Ma per caso. Esseri dispotici regalavano il centro distrattamente, con una radiografia, e in sogno, padroni minacciosi sibilanti: "se ti togliamo ciò che non è tuo non ti rimane niente".