Poesie preferite da Baldofr

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il Cinque Maggio

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fè silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo dè manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! Forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il Natale

    Qual masso che dal vertice
    Di lunga erta montana,
    Abbandonato all'impeto
    Di rumorosa frana,
    Per lo scheggiato calle
    Precipitando a valle,
    Batte sul fondo e sta;
    Là dove cadde, immobile
    Giace in sua lenta mole;
    Né, per mutar di secoli,
    Fia che riveda il sole
    Della sua cima antica,
    Se una virtude amica
    In alto nol trarrà:
    Tal si giaceva il misero
    Figliol del fallo primo,
    Dal dì che un'ineffabile
    Ira promessa all'imo
    D'ogni malor gravollo,
    Donde il superbo collo
    Più non potea levar.
    Qual mai tra i nati all'odio
    Quale era mai persona
    Che al Santo inaccessibile
    Potesse dir: perdona?
    Far novo patto eterno?
    Al vincitore inferno
    La preda sua strappar?
    Ecco ci è nato un Pargolo,
    Ci fu largito un Figlio:
    Le avverse forze tremano
    Al mover del suo ciglio:
    All'uom la mano Ei porge,
    Che si ravviva, e sorge
    Oltre l'antico onor.
    Dalle magioni eteree
    Sgorga una fonte, e scende
    E nel borron dè triboli
    Vivida si distende:
    Stillano mele i tronchi;
    Dove copriano i bronchi,
    Ivi germoglia il fior.
    O Figlio, o Tu cui genera
    L'Eterno, eterno seco;
    Qual ti può dir dè secoli:
    Tu cominciasti meco?
    Tu sei: del vasto empiro
    Non ti comprende il giro:
    La tua parola il fè.
    E Tu degnasti assumere
    Questa creata argilla?
    Qual merto suo, qual grazia
    A tanto onor sortilla?
    Se in suo consiglio ascoso
    Vince il perdon, pietoso
    Immensamente Egli è.
    Oggi Egli è nato: ad Efrata,
    Vaticinato ostello,
    Ascese un'alma Vergine,
    La gloria d'Israello,
    Grave di tal portato:
    Da cui promise è nato,
    Donde era atteso uscì.
    La mira Madre in poveri.
    Panni il Figliol compose,
    E nell'umil presepio
    Soavemente il pose;
    E l'adorò: beata!
    Innanzi al Dio prostrata
    Che il puro sen le aprì.
    L'Angel del cielo, agli uomini
    Nunzio di tanta sorte,
    Non dè potenti volgesi
    Alle vegliate porte;
    Ma tra i pastor devoti,
    Al duro mondo ignoti,
    Subito in luce appar.
    E intorno a lui per l'ampia
    Notte calati a stuolo,
    Mille celesti strinsero
    Il fiammeggiante volo;
    E accesi in dolce zelo,
    Come si canta in cielo,
    A Dio gloria cantar.
    L'allegro inno seguirono,
    Tornando al firmamento:
    Tra le varcate nuvole
    Allontanossi, e lento
    Il suon sacrato ascese,
    Fin che più nulla intese
    La compagnia fedel.
    Senza indugiar, cercarono
    L'albergo poveretto
    Què fortunati, e videro,
    Siccome a lor fu detto,
    Videro in panni avvolto,
    In un presepe accolto,
    Vagire il Re del Ciel.
    Dormi, o Fanciul; non piangere;
    Dormi, o Fanciul celeste:
    Sovra il tuo capo stridere
    Non osin le tempeste,
    Use sull'empia terra,
    Come cavalli in guerra,
    Correr davanti a Te.
    Dormi, o Celeste: i popoli
    Chi nato sia non sanno;
    Ma il dì verrà che nobile
    Retaggio tuo saranno;
    Che in quell'umil riposo,
    Che nella polve ascoso,
    Conosceranno il Re.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il Natale del 1833

      Sì che Tu sei terribile!
      Sì che in quei lini ascoso,
      In braccio a quella Vergine,
      Sovra quel sen pietoso,
      Come da sopra i turbini
      Regni, o Fanciul severo!
      E fato il tuo pensiero,
      È legge il tuo vagir.

      Vedi le nostre lagrime,
      Intendi i nostri gridi;
      Il voler nostro interroghi,
      E a tuo voler decidi.
      Mentre a stornar la folgore
      Trepido il prego ascende
      Sorda la folgor scende
      Dove tu vuoi ferir.

      Ma tu pur nasci a piangere,
      Ma da quel cor ferito
      Sorgerà pure un gemito,
      Un prego inesaudito:
      E questa tua fra gli uomini
      Unicamente amata,
      Nel guardo tuo beata,
      Ebra del tuo respir,

      Vezzi or ti fa; ti supplica
      Suo pargolo, suo Dio,
      Ti stringe al cor, che attonito
      Va ripetendo: è mio!
      Un dì con altro palpito,
      Un dì con altra fronte,
      Ti seguirà sul monte.
      E ti vedrà morir.

      Onnipotente….
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