Vedo oggi nel giardino una tardiva viola e con la mente ritorno a un tempo antico al giardino della giovinezza e dell'amore vi era ricordo vi era un fior certo una viola ma non la colsi che nell'istante mi tremò la mano ancor dell'amore acerbo allora or mi domando che fine abbia fatto quel non colto da me fiore: là ritornar cercar vedere? Fosse ancor lì qual come questa viola tardiva e dolce e profumata? Tremante pur oggi la man sarebbe e incerta poi non per acerbo amor ma per vecchiaia stanca, guardo e penso ai versi del poeta antico: "Il mio sogno è nutrito d'abbandono, di rimpianto. Non amo che la viola che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state..."
Torna oggi l'autunno a bussare alla mia porta un turbinio nell'aria forte di forme e di colori son foglie da lontano e nel tempo allor cadute ma per malia strana non morte ma ancor vive ch'ogni foglia è un viso un suono una emozione una gioia o un dolor: sì chi bussa è entrar vuole altro non è forte lo sento quel viver mio passato.
Tra le foglie autunnali prossime a morire filtra il sole lor donando dolce una carezza quale amorevol segno di un presente addio così vorrei nel tempo prossimo a venire che i miei ultimi della mente miei pensieri filtrati fosser dalle tue per me d'amor parole a l'animo carezzar e riscaldar prima dell'addio.
Quando si spegnerà quel giorno il sole e cadran le stelle giù nel mare sol fuoco celeste e gorghi di acque violente spaventosi avranno sulla terra il lor dominio non più nei campi con messi un tempo e frutti a rallegrar l'umana specie che da allor vagherà nella paura e nel terror dolente in attesa misera della accorrente fine e un sol destino tutti avvolgerà e non vi saranno sconti né favori o soprusi e raccomandazioni che le imploranti forti voci dei potenti e del più debole dei miseri il gridare saranno un unico terrificante grido di dolore.
Mattinata di Manfredonia il golfo del Gargano quel promontorio una sera di maggio all'imbrunire ulivi mandorli e rossi melograni fichi d'india e infine quegli aranci e a loro accanto tanti quei limoni un tripudio lì di profumi e fiori fiori dove le bianche zagare tra di loro regnavano regine inebriata l'aria una particolar dolcezza delicato quel profumo intenso che i sensi tutti ridestava e il sapor del mare lì spinto dalla brezza si mischiava dando al respirar un godere lieve.
Spirava quel dì uno zefiro gentil, soave melodioso degli uccelli il canto, di profumi fiori erbe arbor odorava il bosco, fresco il capanno, soffice il giaciglio, lì la mia ninfa, ignudo, d'amor pronto alla tenzone qual dio Pan ardente il desiderio pronto sol attendeo poi venne, vide, persi, irata irose le parole disse: non può esservi pugna non battaglia con simile zagaglia!
Mughettose, festanti e ridenti le sponde del Ticino, querce secolari e castagni d'odorosi boschi: mazzolini fioriti e cesti di porcini dal profumo intenso a Milano offriva un tempo Modestino a Porta Ticinese e Lodovica e in Piazza Duomo: una vita semplice, frugale e priva di pretese. Un tempo l'azzurr'onda sfiorava con fruscio i bianchi sassi e arsi, cotti dal sole Giovanni e i suoi fratelli lunghi forconi agitavan svelti nell'acqua dai barcè e i levigati ciottoli, frammenti di grezzi massi nel fiume a monte rotolati e poi rotti e spezzati da salti e lavorio dell'acque e trascinati per tempi e per stagioni sconosciute, l'affannosa e sobbalzante corsa qui finivan fermati, imprigionati da rebbi rugginosi; poi da fatica aggiunta e a forza aggiunti a guisa di bianchi su un ampio slargo monticelli portati infine in fornaci ardenti e vetrerie davano pane a Giovanni e ai sassaioli tramite forma e vita di familiari oggetti: vita dura e faticosa con dignità vissuta. Soli nel lavoro e nella vita al Goss e Margarota, "salvadag" li chiamavano certuni: era poi falso ma si sa la cattiveria era ed è allora come oggi assai presente che, per il dimesso aspetto e i poveri vestiti miseri stracci più volte rattoppati, si diceva e si credeva avessero malie strane e odiassero sia i grandi che i piccini, per questi allora non vi era peggior babau: meglio evitarli non incontrarli in strada. Così costretti da questa diceria odiosa a percorrer solitari solitarie vie la vita tutta giorno per giorno fuor che nell'Inverno dall'alba fino a sera tarda e senza sosta curvi e piegati lungo i cigli di rami secondari del Ticino tagliavan di netto con l'acqua sino alle ginocchia, ah povere ossa, teneri giunchi e ne facevan solide fascine. Io bambino "milanese", ospite dei nonni a Motta e non del tutto ignaro di tale cattiva maldicenza, questa devo rigettare e dire forte: "Care figure addio, agrodolce ricordo della fanciullezza!" Volle il caso che per caso li incrociai, cigolava la carriola colma di fascine, forti gli attriti della sgangherata ruota, solo, tremante, impaurito ed alla fuga pronto fui fermato non da callose e ruvide mani né da sdentate e paurose bocche ma da due ciau e da larghi sorrisi accompagnati da gesti in forma di saluto: non membra d'orchi ma di persone umane! Vita misera e piena di tristezze se non dolore: per poche lire un certo Giovanö prendeva le fascine! Mani esperte rapide le sue e veloci ed ecco cesti, cestini, fiaschi impagliati e damigiane di vesti intrecciate rivestite e belle, centri, centrini, sporte e sottovasi: parte all'industria, parte alle osterie, il resto infine lo vendeva Ghita la moglie col suo banchetto di sabato al mercato. Di tutti forse la miglior ma pur sempre vita grama!
Nera figura tutta nera nero scialle nera lunga fino ai piedi palandrana nere pantofole di grezza pezza ancor di lei il ricordo in Milano via Celoria negli anni miei oggi lontani mendicava lì solo studenti di passaggio o quasi a quelle ore assai preste del mattino politecnico scienze come medicina qual buona sorte e sperato auspicio per un esame da dare e poi da superare più di uno spicciolo risuonando forte nel piattino di metallo nero lì cadeva con cura posto lì a lei vicino vecchia tremolante vecchia su un instabile sgabello seduta lì quale destin ultimo triste giunta sfatta sfinita quasi consunta cinquant'anni di meretricio forse di più passati in bordelli di piacere case e angoli di strade il marciapiede forzati amplessi falsi sorrisi baci a lei rubati di guadagno fonte dello stato per tenutarie prima di un giovane pappone dopo che anziano poi inabile lei a quel triste mestiere diventata ancora misera alla questua allor portava povera vecchia sola senza affetti donna vigliaccamente che vigliacco ancor sfruttava.
Nella stagion che di rosso intenso s'apron dei melograni i fiori macchie di queste colorate gemme di Mornico Losana ornano la veste, sul limitar stanno di pietrose antiche case abbandonate, in giardini, un tempo, tra spessi rovi s'ergon a fatica e tra sterpaglie secche, lungo pendii che scendon verso valle e sui cigli qual sentinelle ferme delle strade all'arboreo scintillante quadro donan sua completezza sì che nel caldo giugno questo al ciel volto rosseggiar di fiori rossi negli anni nel tempo si rinnovella dolce vision donando.