Il dono eccelso che di giorno in giorno e d'anno in anno da te attesi, o vita (e per esso, lo sai, mi fu dolcezza anche il pianto), non venne: ancor non venne. Ad ogni alba che spunta io dico: "È oggi": ad ogni giorno che tramonta io dico: "Sarà domani". Scorre intanto il fiume del mio sangue vermiglio alla sua foce: e forse il dono che puoi darmi, il solo che valga, o vita, è questo sangue: questo fluir segreto nelle vene, e battere dei polsi, e luce aver dagli occhi; e amarti unicamente perché sei la vita.
Sì. Detta così l'ispirazione: la mia libera fantasia s'appiglia sempre a quei luoghi dov'è umiliazione, dov'è sporcizia e tenebra e indigenza. Laggiù, laggiù, con più umiltà, più in basso, - di là si scorge meglio un altro mondo... Hai mai visto i bambini a Parigi o sul ponte i poveri d'inverno? Dischiudi gli occhi, schiudili al più presto sul fittissimo orrore della vita, prima che un grande nubifragio spazzi tutto quello che c'è nella tua patria, - lascia maturare il giusto sdegno, prepara al lavoro le braccia... E se non puoi, fa sì che in te si accumuli e divampi il fastidio e la mestizia... Ma di questo vivere mendace cancella l'untuoso rossetto e, come talpa timida, nasconditi sotto terra alla luce ed impietrisci, tutta la vita odiando con ferocia e tenendo in dispregio questo mondo, e, anche se tu non veda l'avvenire, dicendo no alle cose del presente!
Io vedo i grandi alberi della sera che innalzano il cielo dei boulevards, le carrozze di Roma che alle tombe dell'Appia antica portano la luna.
Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.
Pure, lunga la vita fu alla sera di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo, alle luci sorgenti ai campanili ai nomi azzurri delle insegne, il cuore mai più risponderà?
Oh, tra i rami grondanti di case e cielo il cielo dei boulevards, cielo chiaro di rondini!
O sera umana di noi raccolti uomini stanchi uomini buoni, il nostro dolce parlare nel mondo senza paura.
Tornerà tornerà, d'un balzo il cuore desto avrà parole? Chiamerà le cose, le luci, i vivi?
Appare volontà quel che fu caso, un eterno momento, ma l'occhio il naso suggellò veloce e la bocca nel vento ambigua errò per voce che sempre può parlare.
Questo il ritratto e questo è il mare, un rudere che striscia nel suo vecchio calore.
Così dall'ombra mosse una piccola biscia fuggendo il suo colore. Apparvero le fosse dei morti, il grigioverde dei topi e dei soldati.
Ha i minuti contati la morte che perde e moltiplica i piedi. Nel sole che vedi è il sole che langue, il formicaio del sangue.
Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio, e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento. E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso d'esistere. E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto, e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella rossastra, e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba.
Venne in cerca di te nella calda notte, lungo le strade dai fanali azzurri. Tutte le strade, allora, la notte erano azzurre come le vie dei cieli, e il volto amato non si vedeva: si sentiva in cuore E ti trovò, o dolcezza, nell'ombra casta, velata d'un vapor di stelle. Fra quel tremolìo d'astri discesi in terra, in quell'azzurro di due firmamenti l'uno a specchio dell'altro, ella ella pure rispecchiò in te l'anima sua notturna. E ti seguì con passo di bambina senza sapere, senza vedere, tacita e fluida. E allor che il giorno apparve con fresco riso roseo su l'immenso turchino, non trovò più se stessa per ritornare.
Sorriderti forse è morire, porgere la parola a quella terra leggera alla conchiglia in rumore al cielo della sera, a ogni cosa che è sola e s'ama col proprio cuore.