Le migliori poesie inserite da Maria Teresa D'Onofrio


Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio

Don Chisciotte

Il cavaliere dell'eterna gioventù
seguì, verso la cinquantina,
la legge che batteva nel suo cuore.
Partì un bel mattino di luglio
per conquistare il bello, il vero, il giusto.
Davanti a lui c'era il mondo
coi suoi giganti assurdi e abietti
sotto di lui Ronzinante
triste ed eroico.

Lo so
quando si è presi da questa passione
e il cuore ha un peso rispettabile
non c'è niente da fare, Don Chisciotte,
niente da fare
è necessario battersi
contro i mulini a vento.

Hai ragione tu, Dulcinea
è la donna più bella del mondo
certo
bisognava gridarlo in faccia
ai bottegai
certo
dovevano buttartisi addosso
e coprirti di botte
ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati
tu continuerai a vivere come una fiamma
nel tuo pesante guscio di ferro
e Dulcinea
sarà ogni giorno più bella.
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    Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio

    A te si arriva

    A te si arriva solo attraverso te.
    Ti aspetto.
    Io sì che so dove mi trovo,
    la mia città, la via, il nome
    con cui tutto mi chiamano.
    Però non so dove sono stato con te.
    Là mi hai portato tu.
    Come avrei imparato la strada
    se non guardavo nient'altro che te,
    se la strada era dove tu andavi,
    e la fine fu quando ti sei fermata?
    Che altro poteva esserci
    più di te che ti offrivi, guardandomi?
    Però adesso che esilio,
    che mancanza,
    e lo stare dove si sta.
    Aspetto, passano i treni,
    i destini, gli sguardi.
    Mi porterebbero dove non sono stato mai.
    Ma io non cerco nuovi cieli.
    Io voglio stare dove sono stato.
    Con te, ritornarci.
    Che intensa novità,
    ritornare un'altra volta,
    ripetere mai uguale
    quello stupore infinito.
    E fino a quando non verrai tu
    io resterò sulla sponda
    dei voli, dei sogni,
    delle stelle, immobile.
    Perché so che dove sono stato
    non portano né ali, né ruote, né vele.
    Esse vagano smarrite.
    Perché so che dove sono stato con te
    si va solo con te, attraverso te.
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      Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio
      Tempo verrà
      in cui, con esultanza,
      saluterai te stesso arrivato
      alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
      e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro,

      e dirà: Siedi qui. Mangia.
      Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
      Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
      a se stesso, allo straniero che ti ha amato

      per tutta la vita, che hai ignorato
      per un altro e che ti sa a memoria.
      Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,

      le fotografie, le note disperate,
      sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
      Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
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        Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio

        Ballata delle donne

        Quando ci penso, che il tempo è passato,
        le vecchie madri che ci hanno portato,
        poi le ragazze, che furono amore,
        e poi le mogli e le figlie e le nuore,
        femmina penso, se penso una gioia:
        pensarci il maschio, ci penso la noia.

        Quando ci penso, che il tempo è venuto,
        la partigiana che qui ha combattuto,
        quella colpita, ferita una volta,
        e quella morta, che abbiamo sepolta,
        femmina penso, se penso la pace:
        pensarci il maschio, pensare non piace.

        Quando ci penso, che il tempo ritorna,
        che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
        penso che è culla una pancia di donna,
        e casa è pancia che tiene una gonna,
        e pancia è cassa, che viene al finire,
        che arriva il giorno che si va a dormire.

        Perché la donna non è cielo, è terra
        carne di terra che non vuole guerra:
        è questa terra, che io fui seminato,
        vita ho vissuto che dentro ho piantato,
        qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
        la lunga notte che divento niente.

        Femmina penso, se penso l'umano
        la mia compagna, ti prendo per mano.
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          Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio

          Autobiografia in cinque corti capitoli

          Capitolo primo
          Cammino lungo una strada.
          C'è una buca profonda nel marciapiede.
          Ci casco dentro.
          Sono perduto,
          non posso farci nulla,
          non è colpa mia.
          Ci metto una vita per uscirne.

          Capitolo secondo
          Cammino lungo la stessa strada.
          C'è una buca profonda nel marciapiede.
          Faccio finta che non ci sia.
          Ci casco dentro.
          Non posso credere di essere ancora nello stesso posto.
          Ma non è colpa mia.
          Mi ci vuole un sacco di tempo per uscirne.

          Capitolo terzo
          Cammino lungo la stessa strada.
          C'è una buca profonda nel marciapiede.
          La vedo benissimo.
          Ci casco dentro di nuovo;
          è un'abitudine.
          Ma i miei occhi sono aperti:
          so dove sono.
          È colpa ma.
          Ne esco immediatamente.

          Capitolo quarto
          Cammino lungo la stessa strada.
          C'è una buca profonda nel marciapiede.
          Ci cammino intorno.

          Capitolo quinto
          Me ne vado per un'altra strada.
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            Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio
            Ha indossato la camicia, ha preso l'ombrello
            non ha detto parola
            nemmeno io.

            Dpo che se n'è andato
            sono rimasta innanzi allo specchio
            ho estratto la lingua
            per vedere se erano rimaste impigliate delle parole.
            Purtroppo ho visto solo muscoli e vene.

            Ho ritirato la lingua
            sono scoppiata a ridere
            la risata non è una parola - poi ho infranto lo specchio.

            Da quel momento
            ho continuato a infrangere specchi
            invano
            cercandone uno
            che non riflettesse
            più, uno specchio
            che infrangesse me.
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              Scritta da: Maria Teresa D'Onofrio

              Appuntamento a ora insolita.

              La città - mi dico - dove l'ombra
              quasi più deliziosa è della luce
              come sfavilla tutta nuova al mattino...
              "... asciuga il temporale di stanotte"... ride
              la mia gioia tornata accanto a me
              dopo un breve distacco.
              "Asciuga al sole le sue contraddizioni"
              - torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
              Ma la forma l'immagine il sembiante
              -d'angelo avrei detto in altri tempi -
              risorto accanto a me nella vetrina:
              "caro - mi dileggia apertamente - caro,
              con quella faccia di vacanza. E pensi
              alla città socialista?"
              Ha vinto. E già mi sciolgo: "Non
              arriverò a vederla" le rispondo.
              (Non saremo più insieme dovrei dire).
              "Ma è giusto,
              fai bene a non badarmi se dico queste cose,
              se le dico per odio di qualcuno
              o rabbia per qualcosa. Ma credi all'altra
              cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
              che in sé le altre include e le fa splendide,
              rara come questa mattina di settembre...
              giusto di te fra me e me parlavo:
              della gioia."
              Mi prende sottobraccio.
              "Non è vero che è rara, - mi correggo - c'è,
              la si porta come una ferita
              per le strade abbaglianti. È
              quest'ora di settembre in me repressa
              per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
              celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
              un'arma che si reca con abuso, fuori
              dal breve sogno di una vacanza.
              Potrei
              con questa uccidere, con la sola gioia..."
              Ma dove sei, dove ti sei mai persa?
              "È a questo che penso se qualcuno
              mi parla di rivoluzione"
              dico alla vetrina ritornata deserta.
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