Poesie preferite da Marina Mancaruso

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Scritta da: Silvana Stremiz

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Non chiederci la parola

    Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
    l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
    lo dichiari e risplenda come un croco
    perduto in mezzo a un polveroso prato.

    Ah l'uomo che se ne va sicuro,
    agli altri ed a se stesso amico,
    e l'ombra sua non cura che la canicola
    stampa sopra uno scalcinato muro!

    Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
    sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
    Codesto solo oggi possiamo dirti,
    ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Spesso il male di vivere ho incontrato

      Spesso il male di vivere ho incontrato:
      era il rivo strozzato che gorgoglia,
      era l'incartocciarsi della foglia
      riarsa, era il cavallo stramazzato.
      Bene non seppi; fuori del prodigio
      che schiude la divina Indifferenza:
      era la statua nella sonnolenza
      del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        I limoni

        Ascoltami, i poeti laureati
        si muovono soltanto fra le piante
        dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
        Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
        fossi dove in pozzanghere
        mezzo seccate agguantano i ragazzi
        qualche sparuta anguilla:
        le viuzze che seguono i ciglioni,
        discendono tra i ciuffi delle canne
        e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

        Meglio se le gazzarre degli uccelli
        si spengono inghiottite dall'azzurro:
        più chiaro si ascolta il susurro
        dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
        e i sensi di quest'odore
        che non sa staccarsi da terra
        e piove in petto una dolcezza inquieta.
        Qui delle divertite passioni
        per miracolo tace la guerra,
        qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
        ed è l'odore dei limoni.

        Vedi, in questi silenzi in cui le cose
        s'abbandonano e sembrano vicine
        a tradire il loro ultimo segreto,
        talora ci si aspetta
        di scoprire uno sbaglio di Natura,
        il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
        il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
        nel mezzo di una verità
        Lo sguardo fruga d'intorno,
        la mente indaga accorda disunisce
        nel profumo che dilaga
        quando il giorno più languisce.
        Sono i silenzi in cui si vede
        in ogni ombra umana che si allontana
        qualche disturbata Divinità

        Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
        nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
        soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
        La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
        il tedio dell'inverno sulle case,
        la luce si fa avara - amara l'anima.
        Quando un giorno da un malchiuso portone
        tra gli alberi di una corte
        ci si mostrano i gialli dei limoni;
        e il gelo del cuore si sfa,
        e in petto ci scrosciano
        le loro canzoni
        le trombe d'oro della solarità.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Meriggiare pallido e assorto

          Meriggiare pallido e assorto
          presso un rovente muro d'orto,
          ascoltare tra i pruni e gli sterpi
          schiocchi di merli, frusci di serpi.

          Nelle crepe del suolo o su la veccia
          spiar le file di rosse formiche
          ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
          a sommo di minuscole biche.

          Osservare tra frondi il palpitare
          lontano di scaglie di mare
          mentre si levano tremuli scricchi
          di cicale dai calvi picchi.

          E andando nel sole che abbaglia
          sentire con triste meraviglia
          com'è tutta la vita e il suo travaglio
          in questo seguitare una muraglia
          che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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