Siamo fatti di solitudine che d'essa stessa si compiace quando, rosi dall'avidità tratteniamo le sue radici attorno al cuore. Non barattiamo la solitudine con l'effimera umanità di un volto poiché ella si traveste nella più insospettabile delle donne e ci sussurra parole che a noi paion sagge. Ci rassicura, la solitudine e lentamente divora quel bulbo da cui gli atti vitali si nutrono. Così reca con sé la più grande delle menzogne e l'uomo crede, lasciandosi morire che sia l'essenza della vita.
A separarci la vastità del tirreno cobalto e delle brulle coste smeralde che di napoleone furono madri. Ci divisero le pianure estese ai piedi del gennargentu che paternamente ombreggia su un'isola che rifugge la sua patria. Ma non poterono allontanarci né le acque impetuose che investono i traghetti alle bocche di bonifacio né l'orgoglio dei sardi con le loro sabbie color del granito a nulla valsero i chilometri che la fisica impose tra di noi eravamo come i gemelli monozigoti per la cui empatia tutti ardono di un'invidia atroce. Veloci come le mani di un pianista irrequiete sull'ebano di una polonaise così ci affrettavamo a trasmetterci quotidiane emozioni puerili pensieri filosofie mai scritte soavi canzoni che i nostri piedi ballavano a ritmi susseguenti. Prima un do, ecco un fa diesis, ed infine spunta un sol. Incuranti del vasto tirreno e delle napoleoniche coste dipingemmo su un pentagramma la melodia della nostra distanza. E a nulla servì il pianto della nobile arte del nostro peso.
Sotto quei vestiti, trionfi di stoffe partenopee e arabeggianti, ho tessuto le trame del mio lungo viaggio, ho intrecciato lunghi fili di speranze, di gesti audaci di cui ero inconsapevole e tuttora lo sono. Ho cucito pazientemente una tela, rendendo il mio corpo a guisa di una Penelope in trepidante attesa di un Ulisse lontano. Ho composto così la mia Odissea, io sola su un'imbarcazione malmessa con vele dai colori tenui, e lacerate in più punti. E ogni giorno ho aggiunto toppe a quelle vele le ho rese possenti, resistenti alle intemperie, all'acqua salata del mare, ai milioni di Cariddi che vorticavano sotto di me. Sono stata timoniere di questa zattera abbracciata dall'acqua e dal vento, ma mai ho ceduto mai per un solo istante ho abbandonato i remi all'oscuro destino dei fondali. Sotto quei vestiti rattoppavo le mie vele, ricomponevo le pertiche che tenevano insieme gli assi del mio catamarano, tessevo le trame del mio lungo viaggio e dell'audacia cibavo il mio spirito. Sopra le vesti crescevano le onde dei miei ricci indomiti e le lasciavo libere di posarsi, di contemplarsi nel loro groviglio creativo, e quante volte ho districato i nodi ed essi si riassettavano. E quante volte ancora, nella mia nostalgica traversata ho stretto le mani in grossi pugni, e se ora li dischiudo guardo languida ciò che nelle palme è sopravvissuto. Nodi attorcigliati ma fulvi, stoffe consunte ma brillanti, trucioli di legno imbalsamati di salsedine ma vivi e orgogliosi di quanto hanno solcato.
Discende silenziosa nei meandri sinuosa come i lembi della veste che si indossano nel buio della stanza e nel flusso delle sete la luna riflette i suoi spettri pallida nel suo candore. Tacita e delicata fende l'aere immenso cinge le umide spalle degli amanti di un amore ormai asperso bagna le fronde degli animi e li purifica. Lenta sovrasta sui colli fredda scorre sui monti e di un dolce sapore consola il sonno aguzzo degli inerti il destarsi agitato dei fanciulli il calare mesto della vitale luce. Dei suoi baci si nutre il pudore morto ferito leggiadro. Ammirata nel suo colore l'aurora spezza il vivido cobalto desiderio degli affannati respiri che attendono l'amore amaro sangue degli infelici soli. E poi, lesta e muta giunge all'albeggiare morto così fugge misera e crudele così sparisce ai miei sguardi inafferrabile.
Di cosa mi innamoro? Di un disegno di un racconto di una lingua di una bocca di una fellatio di una storia che sta per terminare di un abbandono dell'odore di pulito di mia madre di una sigaretta non fumata della cenere di uno striscio di sangue o di pittura di un gradino troppo alto di una strada sdrucciolevole di un segnale di un esercizio che mi fa sudare dell'umidità di un bacio della freddezza di una parola di uno scherzo di uno squirting di un capello appena caduto di un colore di un'immagine distorta di me stessa di te.
E quando sento quella musica, pian piano mi svesto e ogni vestito cade al suolo, e non fa alcun rumore proprio come le ruote di quell'auto che mi hanno condotta lontano. Lontana da dove? Da un profumo familiare a me sola che mi avvolgeva lentamente, mi inebriava e così chiudevo gli occhi e quell'odore diventava più intenso e trascinava con sé i ricordi, tutti, troppi per un'unica mente. L'odore del legno, del sale, del latte, dell'infanzia. Lontana da dove? Lontana dal rumore di onde che combattono contro le scogliere aride del Tirreno, che rastrellano la sabbia umida delle prime ore del mattino quel mattino in cui tutto rimpiccioliva a poco a poco a mano a mano che quell'auto si distanziava dal punto da me fissato. Lontana da cosa? Da occhi che mi fissavano e continuano a fissarmi nei sogni, da mani che mi hanno stretta nei momenti duri che mi hanno attorcigliato i capelli che mi hanno abbracciata e accolta, da parole che mi hanno canzonata e insieme rassicurata. Io ho lasciato tutto questo ma non ho abbandonato nulla. E quando ho realizzato l'impossibilità di dimenticare tutto sono diventata una giovane donna per poi ritornare, infine a quella bambina che a avevo perso sulla sabbia umida di un mattino in cui tutto rimpiccioliva a mano a mano.
Se il mio cuore potesse parlare ne avrebbe di cose da sussurrarti. Parlerebbe per ore intere della mia vita passata e futura da quando ero un punto in mezzo agli alberi a quando sarò vecchia e non potrò più parlare con le dolci parole di sempre. Se il mio cuore avesse degli occhi vedrebbe chi sei cosa vuoi cosa cerchi. Vedrebbe che il tuo viso è in ombra che si è rassegnato che è rigato di lacrime che sanno più di quanto si dovrebbe sapere. Vedrebbe che le tue labbra non hanno più un'anima non hanno più un colore perché troppe volte hanno gridato verso un mondo sordo muto e cieco. Vedrebbe che le tue mani le tue gambe i tuoi fianchi che tanto hanno donato ora dormono su un letto di rose e spine perché le fatiche e i doveri che hanno affrontato ormai sono vuoti incolmabili perché le tue gambe e le tue mani riposeranno per sempre. Se il mio cuore avesse un cuore saprebbe perché ti ho amato perché hai sofferto perché la tua anima non trova pace. Conoscerebbe le emozioni infinite che palpitano nel mio cuore quando vedo i tuoi occhi neri e si commuoverebbe quando sfiorerei il tuo volto così bello e irraggiungibile. E tutto ciò che manca al mio cuore è un mistero che mi tormenta.