E ci siamo tuffati dentro ai nostri sguardi. La tua palude dentro ai miei corsi d'acqua celeste, disseminando dentro me la peste. Le carezze delle mani erano tagliate dalle tue ciglia bugiarde che come rastrelli grattavano l'ingenuità e la fiducia. Mentre proferivi amore, meditavi inganni e vendette. Ho saputo leggere dentro ai tuoi occhi colore del caffè caldo. Delitto. Castigo. Minaccia. E ti ho baciato le palpebre addormentate dopo aver fatto l'amore, leccarti l'anima è stato il mio specchio deformante. Credevo ti fosse rimasto il mio sapore sul lembo di pelle sottile e mobile che custodisce sclera e menzogna, ma quel sapore non l'ho riconosciuto, solo l'acredine della finzione che mi bruciava sulla lingua e sulla coscienza e sulle amare consapevolezze. Attore d'opera al teatro del mio amore. Iridi di vetro, chiuse a fessura, ladre e bastarde, fuggenti ed io le inseguivo per coglierne la vergogna del non detto. I tuoi occhi come due bombe molotov e tu kamikaze, mi sei scoppiato dentro ai globi per farmi saltare le cornee, farmi vedere con le tue ed ingannarmi sempre più. Occhi chiusi i miei. Cecità. Sonno. Per non vedere più i tuoi che ad ogni menzogna viravano verso sinistra, strizzandosi, infine, chinandosi verso terra a fissare la danza indegna delle tue bugie, che non so se era più la paura d'esser scoperto o l'impegno e la tattica nel giocarmi.
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