Scritto da: Andrea Manfrè

Michele e il suo sogno vogliono lasciare il porto


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...a fumare e fumando guardavano attraverso le palpebre gonfie gli ultimi brandelli di sole. «Sebaste, che dici, potrebbe salpare? ». «Tra un anno, magari. Chissà... ». Il sole si consumava lentamente e sfiorava le schiene un po' curve dei due uomini che camminavano verso casa con le facce rivolte alla notte. L'uscio era appena socchiuso e Michele sentì un brivido di freddo quando aprì il frigorifero per imbastire la cena. Prese una pentola con del brodo e la mise sul fuoco, lavò un pomodoro e dispose la tovaglia sul tavolo con molta attenzione. Versò il semolino e lo mescolò con cura perché non si formassero grumi. Solo allora accarezzò piano la madre che cantava in falsetto e le porse la cena. Pensò che a quell'ora Sebaste stava preparandosi per prendere il largo, lui invece sarebbe uscito l'indomani con la sua linda divisa e il sorriso stampato. Pensò alle umiliazioni che come sempre avrebbe sopportato in silenzio e al suo capo chinato. Si sollevò lento e andò verso il bagno. Si lavò velocemente perché il freddo quella sera era tagliente e si infilò sotto le coperte aggiustandosi bene il cuscino. Tese l'orecchio, si udiva russare piano e la testa lentamente gli scivolò di lato. Sentiva la saliva colargli calda dalla bocca socchiusa e godeva di questo minimo tepore. Domani avrebbe lavorato più a lungo, avrebbe portato a termine i lavori più grossi. Domani, forse, sarebbe salpato.

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