Scritto da: Giuseppe Freda
I conti della vita.

I conti della vita sono una frazione che porta al numeratore i fatti, e al denominatore le aspettative.
E i fatti, cioè gli obiettivi realizzati, sono sempre pochi: mentre al denominatore ci sono tanti propositi, speranze, desideri, sogni...
Il risultato è sempre un numero infinitesimale, e musi lunghi.

Ma è un errore: al denominatore bisogna mettere tutte, ma proprio tutte le aspettative. Anche lo zero che sicuramente verrà, ad annullare ogni attesa.
Colpo di scena: con il moltiplicatore zero al suo posto nel denominatore, una qualsiasi inezia al numeratore sarà sufficiente a far schizzare il conto di ciascuno all'infinito.
Tutti conti uguali, perché tutti con risultato infinito.

Quando poi lo zero sarà... un fatto, e andrà al numeratore (al numeratore, abbiamo detto, ci sono i fatti...), il valore della frazione sarà zero.
Tutti conti uguali, perché tutti con risultato zero.
Quest'ultimo risultato, quantunque a prima vista possa apparire deludente, è la riprova della validità del calcolo: non vi saranno infatti, a vita terminata, ulteriori conti da fare.

Tuttavia, dà da pensare questa uguaglianza perenne dei conti di tutti: tutti con identico risultato, infinito prima e zero poi. Ma soprattutto dà da pensare quel risultato infinito per tutti, finché dura la vita.
Quasi che questa vita, con cui si vuol fare i conti, fosse qualcosa di infinitamente prezioso per tutti, e insieme qualcosa di impalpabile, di molto diverso da ciò che appare.
Quasi si svolgesse nella stessa dimensione dei sogni, traducendone però miracolosamente in realtà, cioè nei fatti, alcuni frammenti.
Quasi che, finché dura la vita, venisse finalmente ed inequivocabilmente in luce, dal risultato di questo semplice calcolo, il misterioso infinito connaturato a ciascuno di noi.

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    Nel campo dell'agire umano, non conta ciò che è, ma ciò che dovrebbe essere.
    L'uomo, che il fine della convivenza sociale sottopone alla necessità di norme imposte dall'esterno, è in realtà padrone di se stesso, e legge a se stesso.
    E' quindi non fruitore, ma creatore di realtà.
    A me sembra che Tina si ponga su questo piano: non cioè sul piano di ciò che è, ma sul piano di ciò che dovrebbe essere.
    D'altra parte, l'assurdo di norme MORALI imposte dall'esterno viene in chiara evidenza ove si pensi che, diversamente dalla norma giuridica, cui è necessaria la mera osservanza esteriore anche senza adesione interiore, una norma morale non può dirsi rispettata se non nella condivisione ed adesione totale.
    E' questo il motivo per cui Cristo, nel discorso della montagna, parla del "non desiderare". Il desiderio dell'atto immorale viene equiparato tout court alla sua esecuzione.
       Tuttavia, ciò che asserisce Vincenzo non è a mio avviso da gettar via. Solo chi conosce il male può rifiutarlo appieno: la conoscenza del male era necessaria...
        Del resto, nulla di nuovo: "i pubblicani e le prostitute vi precedono nel rego dei cieli".  L'ha detto Lui.
        Ed è testualmente evangelico che il primo essere umano a giungere in Paradiso, insieme a Cristo, fu un ladro, messo in croce insieme a lui.
        Per questo motivo non dobbiamo mai giudicare: rischiamo davvero di condannare persone migliori di noi... e, così facendo, condanneremmo noi stessi.
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    postato da , il
    Lo scopo del mio commento N°...
    voleva solo spiegare la legge della vita...
    che non è non e non deve trasformarsi in legge dell'odio...
    la legge della forza... cioè delle cause meccaniche...
    Questa è la legge della non vita...è la legge della m0rte...
    la vera legge che domina la vita è la legge dei fini...
    e cioè la legge della collaborazione per fini sempre più elevati...
    e questo anche per gli esseri inferiori...
    Per l'uomo è poi la legge dell'amore...
    per l'uomo vivere è in sostanza, amare...
    La legge della vita è dunque...
    legge d'amore e di differenziazione...
    non va verso il livellamento...
    ma verso una diversificazione sempre più spinta...
    Ogni essere vivente... modesto o illustre...
    ha i suoi compiti e i suoi fini che...
    nell'economia generale dell'universo...
    sono sempre pregevoli... importanti... grandi...!
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    postato da , il
    Vicié: non mi fare arrossire... io sono solo un apprendista essere umano... :))
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    postato da , il
    Vicié, vedo che la pensi come me su questo punto...
    Eh, sì.  I punti di contatto CHE CONTANO possono essere più saldi degli scollamenti dovuti solo a divergenze teoriche...
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    postato da , il
    Io tuttavia non sono d'accordo con la loro visuale, per un semplicissimo motivo: se è vero come è vero che l'uomo è un essere nato per la relazione sociale (unus homo, nullus homo; un solo uomo nessun uomo), tutto ciò che contraddice la natura è una sorta di violenza all'identità umana, e dunque a mio avviso un qualcosa contro natura. Allo stesso modo del celibato dei preti.
    No. Bisogna avere il coraggio di vivere in mezzo agli altri, e di esprimere le proprie idee ed i propri sentimenti. La vita di relazione, in tutte le sue forme, non va esclusa. Tentando però di non cedere alla tentazione dell'omologazione di gruppo: evitando cioè comportamenti scimmieschi di imitazione, ma ragionando sempre con la propria testa e sentendo col proprio cuore. Se si riesce a fare questo, l'elemento "giudizio altrui" lentamente travalica in un "giudizio proprio" che ci rende autonomi, liberi, responsabili e... uomini. Senza bisogno di piacere ad alcuno. : )))

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