Ago e memoria, oro e letame. Mi sporgo sul tempo, vedo quel che ero, quel che sono e quel che temo, gramigna che soffoca i fiori, tu: castigo e croce. Ho chiesto perdono quando più dovevo odiarti. Tolgo la polvere del deserto di emozioni, metto la polvere da sparo in un'arma che mi porto dietro, cammino per questa terra tra i pilastri dei perché, tra i crateri dei vulcani che mi bollono dentro. C'è da perdersi nella notte e fisso la luna indiana tatuata nel cielo che rischiara il passo che avanza. Ho con me carta, penna e ricci neri scomposti sulle spalle, mi basta per scrivere della tempesta, della malattia che mi hai lasciato, della cura che hai dato a qualcun altro e di me resta qualcosa che si consuma come la fiamma la cera, come la cera che cade sulla pelle, come la pelle che si ustiona, come l'ustione che provoca la ferita, come la ferita che lascia il segno, come il segno della tua assenza, come l'assenza che mi hai lasciato dentro, come il dentro che è vuoto, come il vuoto che è con me, come me che sono fatta di terra e radici tanto sono dura.
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