Frasi umoristiche preferite da Francesca Chieffo

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Scritta da: Edoardo Grimoldi
È disarmante vedere firme celebri annaspare di fronte alla satira e alla sua natura. Quello della volgarità, da sempre, è il pretesto principe di chi vuole tappare la bocca alla satira. Che sia chiaro una volta per tutte (i furbastri più o meno interessati mi hanno un po' stufato): la volgarità è la Tecnica della satira. Con questa tecnica, la satira esprime idee e opinioni. Censurare la satira (in nome del cattivo gusto o di altri princìpi volatili e capziosi) è censurare le opinioni. È fascismo. Chi si attarda in disquisizioni sul buon gusto è un censore. Punto. L'unico limite lo stabilisce la legge: diffamazione, calunnia. La satira è arte: o è totalmente Libera, o non è satira.
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    Scritta da: Saverio Carulli
    [Daniele Luttazzi spiega come distinguere la satira legittima da quella strumentale]

    Il potere usa il ridicolo, il dileggio e lo sfottò per aumentare il conformismo generale. È una tecnica di oppressione.
    Il dileggio invita la massa a prendere le distanze dalla vittima e a partecipare del divertimento sadico del violento.
    Shakespeare attribuisce ai suoi cattivi (Iago, Shylock) questo humor crudele proprio per definire la loro immoralità: uno stratagemma narrativo che ritroviamo nel Joker di Batman, nelle gag da incubo di Freddy Kruger e nella comicità assassina di Hannibal Lecter.
    Il potere è sovraumano in quanto disumano. Ti illude che, unendoti a lui, diventerai predatore: ecco spiegati i sondaggi sulla popolarità del premier. E tu, non ridi alle sue barzellette?
    Un disagio del genere ha finalmente aperto gli occhi a Mentana. Conosco la sensazione. È come sniffare wasabi.

    L'umorismo è sospensione del sentimento e può arrivare fino al cinismo; ma se sei cinico a spese di una vittima e ne prendi in giro la sofferenza, fai umorismo fascistoide, cioè eserciti una violenza.

    Il punto non è se una battuta fa ridere o meno. Si ride per il meccanismo comico e l'abilità consiste nell'imparare la tecnica migliore per scatenare il riflesso della risata; ma se questa abilità ti serve a veicolare un'idea razzista, sei un razzista.

    Il meccanismo di questa gag [nazista] può farvi ridere (per riflesso), se però vi compiacete della risata che suscita in voi, siete nazisti.

    Occorre fare attenzione perché la regressione culturale è già oltre il livello di guardia, specie qua in Italia. Se uno ride di quella gag dei Griffin, deve porsi una domanda: quanto la mia scala di valori, in questi anni, senza che neanche me ne accorgessi, si è corrotta?

    ... una società libera ammette tutte le idee, anche le più trasgressive, ma non può ammettere l'idea violenta (quella razzista o fascista o nazista). L'idea violenta è già stata giudicata dalla storia. È un'idea che, quando va al potere, cancella i diritti umani e la democrazia. La trasgressione culturale dei tabù e dei pregiudizi ( "ciò che ti offende in una società libera" ), che è legittima, non puoi paragonarla a un'idea violenta quale lo scherno della vittima. È un equivoco tragico, aggravato dal fatto di venir banalizzato da un cartone animato [i Griffin].

    Qualunque battuta, su qualunque argomento cui uno è sensibile, provocherà disapprovazione e non riso. Il caso dello humor cinico o noir lo dimostra; ma, ripeto, non è questo il punto.
    Il punto è: se rido della violenza su una vittima reale; se mi compiaccio dello scherno su di lui; se, per dirla con la efficace sintesi di Andrea, la battuta si pone dalla parte del carnefice; la gag e la risata sono fascistoidi. E lo sono anche quando banalizzano l'atto del carnefice (scena dei Griffin).

    Come si stabilisce da che parte sta la battuta? Nello stesso modo con cui è evidente che la battuta di Kraus è contro il nazismo e non a favore: quando la battuta si assume il carico del dolore, invece di banalizzarlo. La satira ha gli strumenti semantici per farlo. E lo fa.
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      Scritta da: Edoardo Grimoldi
      Ora il guaio vero, dopo vent'anni, è purtroppo che l'Italia è piena di berlusconiani con i paraocchi: non vogliono sentir ragioni. Se tu gli ricordassi Mills, All Iberian, Previti, dell'Utri, falso in bilancio, leggi ad personam, pressioni sulla Rai, e loro: "Ma come fai a dire che è un mascalzone?". Come faccio a dirlo? Per lo stesso motivo per cui se incontrassi per la strada di notte un tizio sudaticcio con in mano un coltellaccio insanguinato, la prima cosa che penso non è: "Toh, un cuoco!".
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