Renato Rametta

Notti buie,venti tristi e onde piene di paura flagellano la nostra imbarcazione,minando la nostra felicità.Ma con la forza dell'amore,il timone tra le mani e il sole dentro,sconfiggeremo le intemperie,elevandoci verso la felicità infinita.
9 anni fa

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  • Renato Rametta Notti buie,venti tristi e onde piene di paura flagellano la nostra imbarcazione,minando la nostra felicità.Ma con la forza dell'amore,il timone tra le mani e il sole dentro,sconfiggeremo le intemperie,elevandoci verso la felicità infinita. 9 anni fa
  • Renato Rametta Perché l'Amore, quello vero, non appartiene a questo mondo. Sa di Paradiso. Suo è il regno dello Spirito. E' il due che si fa Uno. E' Cielo e Terra collegati insieme. E' alfa e omega: un cerchio senza fine. L'Amore è Gioia Eterna. E fa paura 9 anni fa
  • Renato Rametta Ti apre la ferita per curarla. Ti fa morire per farti nascere di nuovo. Ti obbliga a saltare: pensi sia nel vuoto e invece è a venti centimetri da terra... Se ti abbandoni a lui, sei salvo. Se ti lasci sedurre, hai vinto. Se ti butti nelle sue braccia con fiducia, ritrovi casa. 9 anni fa
  • Renato Rametta L'Amore, quello vero, è un ospite. Arriva inaspettato, a piedi nudi. Ti coglie di sorpresa. Semplicemente accade. Ti lascia stupito, con la bocca aperta. Ti entra dentro senza far rumore e ti possiede. Ti fa perdere per farti ritrovare. Ti innalza e poi ti fa cadere. Ti fa toccare la vetta e poi l'abisso. L'estasi e l'angoscia. E' doloroso, sì, ma non si può evitare. Perché se l'Amore arriva lo fa per trasformarti. Ti vuole nudo. Ti toglie prima i vestiti e poi la pelle. Per dartene una nuova.. 9 anni fa
  • Renato Rametta Mi sono reso conto che l'Amore, quello vero, fa paura. Perché è grande, senza confini. Perché è folle, senza motivo. Perché è selvaggio, senza recinti. Perché è ribelle, senza regole. Perché è Verità e non ammette menzogna. Perché è Coraggio e non ammette tremore. Perché è Totalità e non ammette dubbio. Perché è Sfida e richiede audacia. 9 anni fa
  • Renato Rametta Quando impari a fare un trasloco, impari anche a buttare, a fare spazio, a mettere di lato, a scegliere. Impari a dare valore agli aggetti, a toglierne, a rivalutare. Impari a classificare i ricordi, categorizzarli, ucciderli, a farli piccoli o a farli grandi. Impari che tutto accade con un significato e con un tale finisce, che le persone sono compagni di viaggio, i posti complici d'incontro e gli oggetti e le foto delle memorie. Impari che tutto finisce dentro una scatola così come la tua valigia finisce nel vano di un aereo. Impari a pesare quando e quanto hai dato,e a chi e se è servito. Impari che tutti gli errori erano inevitabili, le soluzioni tardive e che ogni fine ha sempre un unico disegno e non si può essere padroni del proprio destino se prima non si è padroni di se stessi... 10 anni e 3 mesi fa
  • Renato Rametta Siamo stati educati a fare nostro tutto ciò che ci piace, tutto ciò che è vicino a noi, fa parte della nostra intimità. Sia a livello della conoscenza sia a quello dei sentimenti facciamo nostro tutto ciò che accostiamo, che si avvicina a noi. Il nostro modo di ragionare, il nostro modo di amare corrisponde ad un’appropriazione. La nostra cultura, la nostra istruzione scolastica, vogliono che imparare e sapere equivalgano a far nostro attraverso strumenti di conoscenza capaci, lo crediamo, di apprendere, di capire, di dominare tutta la realtà, tutto ciò che esiste, tutto quello che percepiamo con i nostri sensi e ciò che è al di là di essi. Vogliamo avere l’intero universo nella nostra testa, talvolta l’intero mondo nel nostro cuore. Non vediamo che un tale gesto trasforma la vita del mondo in qualcosa di finito, di morto in un certo senso, perché il mondo perde così la sua propria vita sempre estranea a noi, esterna a noi, altra da noi. Farò un esempio. Se capissimo esattamente quello che fa la primavera, perderemmo probabilmente la contemplazione stupita davanti al mistero della crescita primaverile, perderemmo la vita, la vitalità alle quali tale rinascita universale ci consente di partecipare senza che possiamo conoscere né controllare donde ci arrivino la gioia, la forza, il desiderio che ci animano. Ammesso che fosse possibile analizzare ogni elemento di energia che avviene nell’esplosione della primavera, ne perderemmo lo stato globale che proviamo quando siamo immersi(e) in essa con tutti i nostri sensi, il nostro intero corpo, la nostra anima. Questo stato, mi permetterò di dire: questo stato di grazia, che ci procura la primavera, lo conosciamo talvolta, per lo meno parzialmente, quando ci troviamo in un nuovo paesaggio, in una manifestazione cosmica straordinaria, in un ambiente che ci è insieme percettibile e impercettibile, conosciuto e sconosciuto, visibile e invisibile. Siamo situati, in tal caso, in un’atmosfera, in un evento che sfuggono al nostro controllo, alla nostra competenza, alla nostra intenzione, al nostro stesso immaginario. La nostra risposta a tale «mistero» allora può essere la sorpresa, l’incanto, la lode, talvolta l’interrogazione, ma non può essere l’appropriazione, la riproduzione, la ripetizione. Lo stato – fisico o spirituale – che produce in noi la primavera, certi paesaggi, certi fenomeni cosmici, può accadere all’inizio di un incontro con altri. L’altro ci commuove in tal modo nei primi momenti di un incontro, toccandoci in maniera globale, non conoscibile, non padroneggiabile. Poi, troppo spesso, lo facciamo nostro – o la facciamo nostra – attraverso la conoscenza, la sensibilità, la cultura. Entrando nel nostro orizzonte, nel nostro mondo, l’altro perde la stranezza della sua attrazione. La sua presenza ci circondava di un certo mistero, comunicandoci un risveglio sia corporeo sia spirituale, ma lo riconduciamo a noi, lo conglobiamo a nostra volta. Al limite, non lo vediamo più, non lo udiamo più, non lo percepiamo più. Fa parte di noi. A meno che non lo respingiamo. L’altro è dentro o fuori. Non è dentro e fuori, facendo parte della nostra interiorità ma rimanendo anche fuori, esterno, estraneo a noi, altro. Svegliandoci con la sua alterità, con il suo mistero, con l’infinito (in due parole: non l’assoluto) che rappresenta per noi. E proprio quando non lo conosciamo, o quando accettiamo che resti per noi non conoscibile, che l’altro ci illumina in qualche modo, ma di una luce che ci rischiara senza che sia possibile afferrarla, capirla, analizzarla, farla nostra. La totalità dell’altro, come quella della primavera, ci tocca al di là di ogni conoscenza, di ogni giudizio, di ogni riduzione a noi, al nostro, a ciò che ci è in qualche modo proprio. In termini un po’ eruditi, potrei dire che l’altro, l’altro in quanto tale, in quanto altro, esiste al di là di ogni predicato attribuito da noi: non è mai un questo o un quello assegnato a lui/lei da noi. E proprio quando sfugge a ogni giudizio da parte nostra che l’altro emerge come un tu, sempre altro e inappropriabile dall’ io. 10 anni e 3 mesi fa
  • Renato Rametta Tu sei molto più profondo, molto più ampio, molto più luminoso di qualsiasi idea tu abbia di te stesso.... 10 anni e 3 mesi fa