Quattro anni fa se ne andava una delle più grandi e intense voci della storia della musica contemporanea. Amy Winehouse incantò il mondo con quella sua voce “black” e con quel particolare sound retrò-jazz della sua musica.
Amy è segnata, per tutta la sua vita, dall’amore per la musica. Come lei stessa afferma in un’intervista: “l’unica cosa che io riesca a fare bene.” Fin dagli esordi con il piccolo gruppo rap delle Sweet’n’sour, al debutto discografico nel 2003 con l’album Frank, fino al successo mondiale del disco Back to Black, che le regala ben cinque Grammy Awards.
Nata il 14 settembre 1983 da una famiglia ebraica, Amy si immerge fin dalla giovanissima età – 10 anni – nel mondo della musica fondando il gruppo rap amatoriale delle Sweet’n’sour che lei stessa definisce “la versione bianca ed ebraica delle Sant’n’Pepa”. Il suo album di debutto, Frank, viene pubblicato il 20 ottobre 2003. Viene prodotto principalmente da Salaam Remi, con molte superficiali influenze jazz e, salvo due cover, ogni canzone è scritta dalla Winehouse.
Il 27 ottobre 2006 viene pubblicato a livello mondiale l’album Back to Black, che in Inghilterra arriva alla vetta della UK Albums Chart in pochissime settimane. Il singolo apripista è Rehab, pubblicato il 23 ottobre 2006, che diviene un tormentone mondiale.
Un successo accompagnato da uno straordinario talento – indiscusso anche e soprattutto dai critici – non riescono ad evitarle di entrare in un abisso fatto di abusi di alcool e droga da cui non riesce e non vuole uscire. Un tunnel che porterà Amy alla morte a soli 27 anni, nella sua casa di Camden, quel sabato 23 luglio 2011.
Tony Bennett, uno degli ultimi ad avere condiviso del tempo con lei in studio di registrazione, riporta una delle ultime conversazioni avute con Amy:
“Durante una pausa delle registrazioni, mi ha stretto la mano come una bambina con il papà. “Tony, come si impara a vivere felici? Sono sfinita”. La felicità è non uccidere il proprio talento, le ho detto. La sua morte è un lutto per l’arte. Di ragazze con una voce così calda non ce ne sono più in giro.”
Ed è dopo quattro anni che arriva in Italia, a settembre, il docu-film “Amy- The Girl behind the name“, girato dal regista Asaf Kapadia, presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Alternando alla viva voce dell’artista londinese il ricordo di amici e familiari, il film segue una traccia narrativa che parte dai testi delle sue canzoni e ne svela il lato più intimo. Un film duro e impietoso, a detta dello stesso regista, che indaga la discesa di Amy fino al tunnel delle droghe e dell’alcool, nonostante un talento straordinario, un successo planetario, l’apprezzamento indiscusso dei critici e soprattutto un futuro tutto da scrivere.
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