Era una di quelle persone che probabilmente tutti, prima o poi, incontriamo almeno una volta nella vita. Quelle persone che per un motivo inspiegabile e misterioso ti agganciano e non riesci a lasciare finché non ti distruggono e ti fanno in mille pezzi.
Cercavo sempre di rintanarmi in un angolo, nascosto da tutto e da tutti, piegato su me stesso a scrivere, dando le spalle al mondo. Come se il mondo fosse il passato, come se la scrittura fosse una piccola navicella silenziosa, la mia macchina del tempo che viaggiava verso un mondo perfetto, fatto di attenzioni e tranquillità. Scrivevo nel tentativo di aggiustare il mondo e di avvicinarlo a me.
La sera che ho saputo che mio padre era morto, mi sono fatto un bagno. Non ho chiuso il rubinetto e a un certo punto l'acqua ha cominciato a uscire e io non ho fatto nulla. Sono rimasto a guardare mentre strabordava. Quando ho finito di farmi il bagno ho passato mezz'ora ad asciugare. Ma è stato terapeutico: uno dei primi atti di coraggio della mia vita.
Ho sempre avuto un fortissimo senso di responsabilità, ho sempre capito che dovevo chiedere poco per non disturbare e che dovevo imparare ad arrangiarmi.
Negli anni, soprattutto con le donne, ti sei costruito un muro. Io lo vedo, lo avevi fatto anche con me. Il problema è che poi, a forza di costruirlo, sei diventato tu stesso il muro. Un muro che si può percorrere, ma non oltrepassare.
Spesso nella vita e nel lavoro essere gentili ed educati viene scambiato per una debolezza. Aggressività uguale forza. Mia madre mi ha sempre insegnato che più grande è il coltello più piccolo è l'uomo.