[...] tuttavia non avevo mai udito nella mia vita una storia più bella e terribile; la storia della fine di un'era, del tramonto degli eroi... Triste, quindi, soprattutto per un cantore quale io sono, perché se gli eroi scompaiono anche i poeti muoiono non avendo più materia per il loro canto.
Era quello l'amore, quello che provava in quel momento, quell'ansia palpitante, quella sete inestinguibile di lei, quella pace profonda dell'animo e nello stesso tempo quell'inquietudine incontrollabile, quella felicità e quella paura. Era quello l'amore di cui parlavano i poeti, Dio invincibile e spietato, forza ineluttabile, delirio della mente e dei sensi, unica possibile felicità.
Ottomila tebani furono venduti come schiavi. La loro città millenaria, cantata da Omero e da Pindaro, fu rasa al suolo, cancellata dalla faccia della terra come se non fosse mai esistita.
Alessandro, Alessandro, tu vedi la gloria, ma la guerra è soprattutto orrore. È sangue, sudore, escrementi; è polvere e fango; è sete e fame, gelo e calura insopportabile. Lascia che sia io ad affrontare tutto questo per te, finché lo posso fare.
Quanto alle vostre donne, certo, esse non piangono con alte grida come nelle altre città e sopportano con forza le sciagure, ma credi che non sentano il dolore?