Credendo a tutta questa storia del colpo di fulmine, conservavo la forma della verginità. Una verginità nei gesti, nei sentimenti, nelle parole. Conservavo gelosamente uno scrigno pieno di parole mai pronunciate, gesti mai compiuti, sguardi e sentimenti mai vissuti, mondi mai visitati. Alla donna della mia vita, il giorno che l'avrei incontrata, avrei donato un campo di neve immacolato, intatto, mai calpestato prima, senza nemmeno il segno di una piccola impronta. E sarebbe stato tutto suo, solamente per lei. E io, quel campo innevato, lo proteggevo.
Nell'arco della vita puoi incontrare un sacco di persone e di qualcuno diventare veramente amico. Ma chi ha passato con te il periodo dell'adolescenza conserva un posto speciale. Forse più ancora dei compagni dell'infanzia.
Restavamo stupidamente aggrappati all'ombra di noi stessi perché non potevamo sapere che, staccandoci dall'esistenza e cadendo nella vita, non ci saremmo più sentiti soli.
Qualcuno aveva soffiato sulla brace e il fuoco si era rianimato. Avevo dentro una carica enorme, ma anche una sensazione di vergogna. Mi vergognavo di quella mia sensazione, perché mi sembrava di essere ridicolo. Una parte di me mi diceva che ero stupidamente eccitato e che sarebbe stato solo uno sporadico entusiasmo e alla fine non sarebbe cambiato nulla.
Ma con chi potevo parlarne? Per assurdo i miei amici, che erano le persone con cui avevo più confidenza, erano anche quelli con cui era più difficile affrontare questi argomenti. Facevo fatica a comunicare con loro il mio disagio. Sarebbe stato più facile confidarmi con uno sconosciuto su un treno. Con loro sarebbe stato rischioso. Avrei potuto rompere gli equilibri.
Mi vengono in mente i giorni interi che ho passato sui libri per preparare un esame all'università che adesso nemmeno ricordo. Sarà servito a qualcosa? Me lo auguro, visto che erano giorni della mia vita.