- Tu sai che potresti comandare alla nobiltà vassalla col titolo di duca? - So che quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; questo è comandare. (...) - Ricordi d'essere Barone di Rondò? - Sì, signor padre, ricordo il mio nome. - Vorrai essere degno del nome e del titolo che porti? - Cercherò d'esser più degno che posso del nome d'uomo, e lo sarò così d'ogni suo attributo.
Si stancava presto di quelle tensioni della volontà, e restava lì spossato, come se lo scarnificare ogni concetto per ridurlo a pura essenza lo lasciasse in balia d'ombre dissolte ed impalpabili.
Non aveva ancora capito qual era stato il suo errore, non era riuscito ancora a pensarci, forse preferiva non pensarci affatto, non capirlo, per proclamare meglio la sua innocenza.
- Cosimo: Perché mi fai soffrire? - Viola: Perché ti amo. - Cosimo: No, non mi ami! Chi ama vuole la felicità, non il dolore. - Viola: Chi ama vuole solo l'amore, anche a costo del dolore. - Cosimo: Mi fai soffrire apposta, allora. - Viola: Si, per vedere se mi ami.
Era un uomo noioso, questo è certo, anche se non cattivo: noioso perché la sua vita era dominata da pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso. L'agitazione dei tempi a molti comunica un bisogno di agitarsi anche loro, ma tutto all'incontrario, fuori strada.
S'accorgeva che tante cose non gli importavano più, che senza Viola la vita non gli prendeva più sapore, che il suo pensiero correva sempre a lei. Più cercava, fuori dal turbine della presenza di Viola, di ripadroneggiare le passioni e i piaceri in una saggia economia dell'animo, più sentiva il vuoto da lei lasciato o la febbre d'attenderla.
L'Abate passò il resto dei suoi giorni tra carcere e convento in continui atti d'abiura, finché non morì, senza aver capito, dopo una vita intera dedicata alla fede, in che cosa mai credesse, ma cercando di credervi fermamente fino all'ultimo.