Scritta da: Fabio Privitera
Sensibile non è chi sente più profonde le proprie ferite, ma chi sente la profondità dei sentimenti, anche degli altri.
Composta venerdì 18 ottobre 2013
Sensibile non è chi sente più profonde le proprie ferite, ma chi sente la profondità dei sentimenti, anche degli altri.
Chi nella solitudine non trova la propria esistenza finisce per costruirsela di esistenze altrui, facendo della propria la solitudine di molti.
Si dovrebbe cercare qualcuno non quando se ne ha voglia, ma quando, improvvisamente, ci viene in mente e allora non è il desiderio a parlare, ma qualcosa di più profondo che non ha voce.
La gente ha paura più di chiudere le vecchie ferite, che di formarne nuove. Ecco cosa le blocca dal vivere, dal darsi a qualcuno o alla vita: o il timore di nuove lacerazioni o che si rimarginino le vecchie.
Gli umani dimenticano in fretta la semplicità. Il nostro istinto è volto a complicare ciò che, se lasciato a sé, scivolerebbe via coi propri tempi.
Accadde una notte. Veniva da lontano. Fece il viaggio proprio per dormire con me. Dormimmo e basta. Fu così che mi prese l'anima. Dopo neanche dodici ore era, nuovamente, già mille chilometri lontana.
La luce del giorno riempie la testa di rumore, il buio della notte toglie i rumori e accende la musica. Poi uno ascolta ciò che ha dentro il cuore.
La riconoscenza è un sentimento che ha una vitalità propria. Essa non viene spinta dalla necessità di ricambiare, ma dalla commozione di ritrovarsi nei favori di un'altra persona.
Suona come "riconoscersi nell'essenza."
Le parole creano un incanto vacuo, che può essere facilmente riempito da altre voci. I fatti no, sono personali e incolmabili.
Quello che spesso si definisce "carattere" non è altro che l'apparente coerenza che si vuole manifestare agli altri... Il vero carattere sta invece nel superare certi canoni che ci rendono ancorati ai nostri stessi schemi mentali.