Scritta da: Federico
Nella mia febbre cerebrale o follia, non so come chiamarla, i miei pensieri hanno navigato molti mari.
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Nella mia febbre cerebrale o follia, non so come chiamarla, i miei pensieri hanno navigato molti mari.
A momenti, come le onde disperate si infrangono sulle scogliere indifferenti, un desiderio tumultuoso di abbracciare qualcosa.
Tutto è allo stesso tempo realtà e simbolo.
Cos'è disegnare? Come ci si arriva? È l'atto di aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sembra trovarsi tra ciò che si sente e che si può.
L'uomo è uno straniero sulla terra e la sua vita un viaggio scosso dalle tempeste.
A che sarei utile, a che potrei servire? C'è qualcosa dentro di me, ma cos'è?
Per agire nel mondo, occorre morire a se stessi. L'uomo non sta sulla terra solo per essere felice, neppure per essere semplicemente onesto. Vi si trova per realizzare grandi cose per la società, per raggiungere la nobiltà d'animo e andare oltre la volgarità in cui si trascina l'esistenza di quasi tutti gli individui.
Sto lottando con un quadro cominciato alcuni giorni prima della mia ricaduta, un falciatore, lo studio è giallo, terribilmente impastato, ma lo spunto era bello e semplice. E allora ho visto in questo falciatore – vaga figura che lotta come un demonio sotto il sole per venire a capo del suo lavoro – ci ho visto l'immagine della morte, nel senso che l'umanità sarebbe il grano che si falcia. È quindi, volendo, l'antitesi di quel seminatore che avevo tracciato prima. Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto di una luce d'oro fino.
Per un uomo spirituale senza etichette, senza credenze, invece, vuol dire avere fiducia nel ciò che è: ovvero in Dio, il tutto, proprio nella sua manifestazione, qui ed ora. Perché egli non ha bisogno alcuno di promesse è già colmo di gratitudine.
Non mi è mai piaciuta l'idea dell'arte ghetto nella quale la poesia è considerata il supporto vitale del sistema.