Quando ho il raptus creativo devo sbrigarmi. Arriva la marea e corro in laboratorio, se sono nei paraggi, corro a fare. Correggo senza paura i quadri iniziati che languivano, infilo le mani e l'energia nella creta senza timori, mi muovo velocemente su diverse opere, passando da una all'altra come una mamma uccello che deve nutrire più becchi aperti. In quei momenti non rispondo al telefono, non ascolto musica, non parlo. Agisco senza ragionare. Lascio che le mani trasformino in materia ciò che solo dopo vedrò con stupore o irriverenza, con dramma o curiosità. Solo dopo, finito il climax, mi siedo su uno sgabello traballante, quasi ansimante, sporca, spettinata. E guardo come risvegliata l'ambiente dove sono. Lì vedo cosa ho fatto, lì lentamente mi scopro e mi conosco nelle nuove forme.
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