Tutti vogliono o cercano qualcosa, ma non sarebbe meglio non farlo? Non volere il bene degli altri ma prenderlo, guadagnarselo senza chiedersi nulla, e star a vedere chi lo da perché vuole darlo e non perché si sente obbligato? Non sarebbe meglio non volere niente e prendere quello che è il frutto delle nostre vere azioni, dei nostri veri pensieri, della nostra vera anima e di noi stessi? Perché dire e ribadire le cose se si può vivere, capire, accettare, valutare e reagire in silenzio, senza tante sentenze che ci annebbiano, ci affaticano, ci stufano l'anima, la spontaneità e la fede? Perché il genere umano è così pateticamente attaccato alle certezze, alla materia vuota, alle speranze? Perché non si può vivere solo di fatti? Di momenti correnti? Vivere per l'amor di vivere, consumare ogni momento per il piacere di provare gusti diversi, che ci regalano sorprese? Perché non accettare tutto in modo equo, ma singolo, senza distinzioni? Il male, il bene, il dolce, l'amaro? Perché non prendere tutto ciò che è e che sentiamo ci appartenga ed abbracciarlo, capirlo, ascoltarlo, viverlo, senza giudizio, senza chiedersi se è giusto o sbagliato, senza chiedersi cosa sia realmente la verità assoluta e lo sbaglio assoluto, e compiere l'analizzazione di esso, nell'atto della sua consumazione invece di farlo per cercare la sua motivazione d'esistenza? Le uniche decisioni che bisogna prendere, le uniche scelte che dovremmo fare sono quelle che compiamo, che viviamo con tutti noi stessi mentre ci siamo dentro, non sono quelle che meditiamo, decidiamo e compiamo successivamente.
Sento ogni battito del mio cuore diventar sempre più grande e lento, è un lieve dolore, seguito da pungenti vampate di calore e bruciori alla bocca dello stomaco, come se mi avessero colato dell'oro fuso giù per la gola ed esso ora mi stia distruggendo ma nello stesso momento creando dall'interno. È la trasformazione mortale del mio cuore che o cerca di esplodere per la troppa fatica a lui destinatagli o che cerca di ingrandirsi per continuare a lottare e farmi vivere. Il mio respiro si fa sempre più spesso, la vista si affievolisce e la mia testa diventa sempre più pesante mentre i miei pensieri vengono cullati da una melodia che mi arreca un'apparente spiraglio di sollievo.
Il problema è che cerco qualcuno che non abbia paura di vivere, soffrire, farsi male, cadere e poi rialzarsi, di sorridere, di ridere fino ad aver mal di pancia, di respirare a pieni polmoni ogni singolo anno di vita fino all'ultimo. Il problema è che una persona così forse non esiste, ma sono disposta a vivermela da sola una vita così, eppure, nonostante la forte determinazione, provo anche un po' di pena per voi che non avete abbastanza fegato per rischiare e un po' di nostalgia per la mia anima, che avrà come compagno di vita, solo il mio io. Però sono completamente certa che, senza brividi, non ci sarebbe gusto, quindi ho deciso di emozionarmi anche solo per un breve temporale estivo e passare per illusa, che esser grigia, vuota e sola in compagnia.
A questo punto non so proprio se tutto quello che mi sta accadendo, siano lezioni di vita o punizioni. Perché ho come la sensazione che io stia pagando una pena infondata, una colpa non mia. Mi sembra di essere immersa in un calvario ardente come la gola dell'Inferno, putrida come la pece e insopportabile come le mosche. Condannata a vivere più momenti di infelicità, a conoscere sempre più persone senza valori di ogni tipo e a lottare per il mio equilibrio vitale contro un mostro invisibile ad occhio nudo, ma titanico per la mia piccola e ancora debole anima.
Il fatto è che cerco una persona che mi sappia coinvolgere, come sa fare la musica, come una canzone che mi faccia venir voglia di cantare, ballare e sorridere. Una persona che mi stupisca, che mi emozioni con inventiva, che si prenda cura di me con semplice dolcezza, come il susseguirsi di note in una canzone, naturali, fluenti, coinvolgenti, frementi di follia, passione ed estrema felicità.
Avevo deciso di non versare nemmeno più una lacrima per niente e nessuno, eppure arrivai a non farcela più, a non cogliere lo scopo del trascorrere del tempo, del fine delle mie azioni, della profondità dei miei pensieri. Mi sentivo vuota, tormentata, in un vortice infinito, in una caduta eterna che mi provocava acute vertigini e piatta confusione. Pensando a tutto ciò, mi scivolò sulla guancia, colei che mi ero giurata di non far scappare per niente al mondo e lei me lo ricordò, mi ricordò il giuramento che avevo fatto a me stessa, me lo ricordò con il dolore; fu come se qualcuno mi avesse infilato uno spillo nell'occhio, come se qualcuno con elevata pressione spingesse sulla mia palpebra. Passati pochi secondi, il malessere dentro di me si infittì e mi resi conto che ciò a cui mi ero sempre rivolta per trovare un po' di calma e serenità, non c'era più. Avevo finito le lacrime da versare e con loro la serenità.
Come si fa quando capisci che bisogna lottare anche per star bene con gli altri e mentre ci provi perdi tutto ciò che hai creato per te stesso? Le lotte superate, i concetti consolidati, il futuro chiaro e l'essere, l'anima e l'io in armonia. Quando hai lottato anni per riuscir a star bene prima di tutto con te stesso, accettarti e accettare la tua vita... e alla fine non ti rimane né l'uno, né l'altro?
Il dolce rumore delle gocce di un acquazzone estivo che accarezzano foglie e ne colpiscono altre. Una boccata d'aria fresca con volto d'erba bagnata da respiro ai miei polmoni e alla mia anima, esausti con i miei pensieri, dalla notte afosa come il cuore dell'Inferno. Oh come vorrei fosse eterno. Un limbo senza tempo, senza giorno senza notte, senza caldo senza freddo. Sospeso, in silenzio.
Sarò strana, ottusa, testarda, ma l'unica cosa che so per certo di me è che una cosa non la faccio se non ci metto l'anima. Preferisco vivere tutto fino all'ultima goccia per poi star male fino a morire. Ma dopo quel dolore mi rialzerò sempre, grazie al ricordo di quelle forti emozioni vissute in attimi lunghi come vite intere.