Mi rifugiavo negli angoli più nascosti dell'appartamento. Mi sentivo al sicuro. Avevo capito che alcune cose mi avrebbero fatto sentire un male tremendo. Con una matita tra le dita facevo finta di fumare e di sentirmi grande, con gli occhi rivolti verso l'alto cercavo parole adatte per un domani e le nuvole le catalogavo come gomme da cancellare fatte di zucchero filato. Mi ritrovo anche senza parole a volte, perché ho imparato quanto possano far del male. Perché non ho mai potuto fare a meno di rispondere alla gente: "Ma io sono già grande", con un peluche in mano. Ne è piena la stanza, di orsacchiotti. Mi coprivo le mani con le maniche di un maglione troppo grande e lungo perché nascondevo evidentemente un dono. Nascondevo la mia sensibilità, non di un'altra bambina. La mia. Facevo impazzire le maestre per il mio ordine nei quaderni, anche quando scrivevo sulla lavagna. Mostravano, alzando il quaderno, la mia capacità di mettere tutto in ordine ed al proprio posto. Sì, quanto ero davvero brava a comprendere. Io che adesso non mi comprendo nemmeno più per come dovrei, piuttosto cerco di capire cosa vogliono gli altri da me. È come se quella bambina in me ci sia sempre a ricordarmi che se volessi, in qualunque momento, potrei riprendere la capacità di essere più determinata. Adesso, quella bambina, i colpi e tutto il male me li sta facendo notare. Un dolore passato sotto i suoi occhi che tanto male non fa.
Composto giovedì 20 dicembre 2018
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