Chiederei.
Fossi stata abituata, lo farei.
Non lo faccio quasi mai, infatti.
Le volte in cui alzando gli occhi al cielo è caduta pioggia. Gocce che parevan aghi in cerca di fili e mi son infilzata tutta io, mentre entravo a fatica dentro le crune, ché i miei sogni dimoravano nel vuoto circoscritto dall'acciaio e la possibilità permaneva nell'attraversare.
Ho punti di sutura tra le giunture dei "voglio" e gli strappi vistosi sulle stoffe poco pregiate dei "fa che sia così", ma la pelle è rimasta lasca e i palmi si son sdruciti a furia di lasciarsi scivolare via l'inafferrabile.
Non chiedo.
Non so farlo e prima delle stelle conto le loro code, ché dalla mia parte ci son sempre state le scie dei resti, negli scarti dell'accontentarsi e far buon viso a cattivo gioco.
E sì!
Le stelle amano giocare tra le congiunture astrali e nella lettura degli oroscopi manomessi.
Chiedo.
Per la prima volta.
La possibilità di scegliere ciò che è meglio, il divario tra le alternative, il mutare delle catene in ali, il volo senza schianto.
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