Significativa variazione sul tema del "one man show". Ma non siamo nei paraggi di "Cast Away" (2000) o d'altri survival movie in solitario. "All Is Lost" (2013) era già un post-survival grazie al suo finale aperto: Redford si lascia prim'annegare (come Laura Linney - "Wake up number 37" - in "The Mothman Prophecies", 2002) e poi ripescare abbandonandosi nelle mani d'un futuro che non c'è dato sapere se provvidenziale o esiziale. Questo debutto d'Hayden sembra sfidare l'osannato Cuarón di "Gravity" (2013): minimalisticamente spolpato d'epici budget con annessi star ed effetti speciali, ridotto a un Kammerspiel per l'unica claustrofobica location del film frammisto a insert'in stile mockumomentary, la morale della storia è diametralmente opposta. Non la Donna che, con tanto di sacrificio del maschio, riesce a ricongiungersi alla Madre Terra (concetto ch'aveva già cominciato a esprimere nel 2006 con "I figli degli uomini"), bensì l'Uomo il quale, condannato alla mortalità, decide di scegliere fra un decesso standard, il rientro a casa su questo pianeta, e il morire altrove, esplorando e visitando territori sconosciuti. "Sono l'essere umano più solo della terra ma anche il più fortunato", dice il protagonista fornendo la chiave interpretativa a cui il mirava il regista. Scelta imprevista che, a mio parere, fa riflettere. E non poco.